Mindhunter

Mindhunter: nella mente degli assassini

Si può definire Mindhunter una serie tv cult? A mio avviso sì, e per due motivi per precisi. Il primo è che le due stagioni trasmesse su Netflix hanno avuto un grande successo di pubblico.

Il secondo è che Mindhunter è una serie particolare, nella quale non conta tanto trovare il serial killer, quanto tracciarne un profilo psicologico, sociologico e quindi in un certo senso umano.

La serie ideata da Joe Penhall è tratta dal libro degli ex agenti Mark Olshaker e John E. Douglas: Mind Hunter: Inside FBI’s Elite Serial Crime Unit. Nel volume è riassunto il lavoro di caccia ai serial killer più pericolosi degli Stati Uniti, intervistati dopo la cattura per stilare modelli di profiling.

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La trama

Negli anni ’70, negli Stati Uniti, inizia una ricerca per la creazione di profili dei killer seriali. A portarla avanti sono gli agenti dell’FBI Bill Tench (Holt McCallany, Sully, Justice League) e Holden Ford (Jonathan Groff, American Sniper, Glee, Looking).

Nasce così uno studio innovativo ed un nuovo metodo investigativo che permette di avere un quadro psico-sociale degli assassini, che vengono chiamati serial killer.

Bill Tench è un agente esperto, a capo dell’unità e con una situazione familiare non facile. Holden Ford è invece più giovane, mosso dalla consapevolezza che dietro le azioni dei criminali ci siano motivazioni complesse e profonde. Un’intuizione che lo porta ad esplorare le menti degli assassini, per capirne le ragioni sociali e psicologiche, catalogare i comportamenti e creare dei profili standard, così da catturarli più facilmente.

In questo percorso gli agenti incontreranno alcuni dei killer più pericolosi e spietati d’America (Ed Kemper, Charles Manson), li intervisteranno in prigione, registrando i colloqui, e studieranno i profili anche grazie all’aiuto della professoressa Wendy Carr (Anna Torv, Fringe).

Mindhunter. La recensione

Mindhunter è stata, come dicevamo, un grandissimo successo. Il fascino che da sempre il male porta con sé è irresistibile anche questa volta, e qui ne siamo catturati anche perché possiamo conoscerne i motivi più nascosti.

La serie si sviluppa sul parallelismo tra la psiche degli assassini e la vita di chi indaga su di loro. Non ci vengono mai mostrate direttamente le violenze, i brutali assassini e gli omicidi, ma sappiamo che sono lì, a due passi da noi. Tutto in questa serie si basa sui racconti, sugli sguardi, sulle parole e sull’immaginazione che segue il ricordo.

Mindhunter è un prodotto, insomma, che non vive di suspense spinta all’eccesso, ma soprattutto di suggestione, incredulità e sorpresa. Ma soprattutto di tanta curiosità: quella degli agenti impegnati nella costruzione del profiling e quella dello spettatore, che viene tirato dentro ad un gioco mentale che diventa quasi morboso.

Perché ci comportiamo in un certo modo? Cosa scatta in noi in determinati momenti? Dopo aver visto Mindhunter il confine tra bene e male non vi sembrerà più così esteso, e la follia omicida che tanto fa clamore vi apparirà meno irrazionale di quanto sembra.

L’obiettivo, sia per i protagonisti che per voi, sarà quello di saper guardare al di là degli schemi, degli impulsi naturali e brutali, e non smettere mai di farsi delle domande.

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.