Il buco

Il buco: Centro Verticale di Autogestione

Sbarcato sulla piattaforma Netflix a febbraio 2020, Il buco è un film che fa davvero parlare di sé. Una pellicola di produzione spagnola, diretta da Galder Gaztelu-Urrutia, che è in grado di catturare non solo lo spettatore, ma l’attenzione mediatica in generale.

La prova è che il trailer de Il buco, lanciato da Netflix il 6 marzo, ha letteralmente conquistato il pubblico di tutto il mondo, e ad oggi il film vanta oltre un milione e mezzo di visualizzazioni, dopo essere stato presentato alla quarantaquattresima edizione del Toronto International Film Festival.

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La trama

Novantaquattro minuti di immagini crude, violente, per l’esordio cinematografico di Galder Gaztelu-Urrutia, che per molti anni ha lavorato nel settore dell’intrattenimento.

Il buco è un’immensa metafora dall’inizio alla fine, e narra la vicenda di un uomo intrappolato in una prigione molto particolare. Una struttura che si sviluppa in verticale, in cui i piani e le stanze si trovano una sopra l’altra, collegate solo da un gigantesco buco centrale.

Da ogni piano è impossibile vedere sia il fondo che la cima, e dal buco ogni giorno scende una piattaforma con del cibo, che parte dal piano più alto ed arriva al più basso. In ogni piano si hanno solo pochi minuti per mangiare, prima che la piattaforma scenda nel piano sottostante.

Il cibo basterebbe per tutti, ma i prigionieri dei piani superiori lo saccheggiano in maniera selvaggia, non lasciando nulla a chi sta sotto, a cui rimane solo la piattaforma vuota. Una sorta di esperimento sociale e sociologico spinto all’estremo, che porta alla morte.

Il buco – La recensione

Il buco è un viaggio all’interno di quello che viene chiamato “Centro Verticale di Autogestione”, che spinge però subito protagonisti e spettatori faccia a faccia con la profonda natura umana, coi bisogni primari.

Iván Massagué, che interpreta il protagonista, capisce subito il meccanismo perfetto che regola il sistema, diventandone prima parte, e poi distruggendolo dall’interno. Muovendosi tra horror e thriller, tra violenza e brutalità di ogni genere, Galder Gaztelu-Urrutia crea una metafora della società divisa in classi, in cui il pericolo e la sopravvivenza aumentano l’egoismo e la crudeltà.

Il buco è in un certo senso un film claustrofobico, non tanto negli spazi (che comunque sono ridotti), quanto nel descrivere il senso di oppressione dei prigionieri. Il protagonista passa di piano in piano cercando di modificare la situazione, fino a che un dettaglio farà la differenza.

Ecco, i dettagli e i simboli giocano un ruolo cruciale in questo film, così come la comprensione che i rapporti umani sono qualcosa di estremamente fragile, dettati dalla necessità e dall’estrema fiducia. Ad un certo punto i prigionieri si appartengono, sia fisicamente che mentalmente. La razionalità diventa un lontano ricordo e l’obiettivo della solidarietà spontanea non può essere raggiunto senza “conflitto”.

Il ruolo del protagonista, scopriamo pian piano, è quello di un messia che porterà allo scardinamento dell’equilibrio, con un percorso tra i vari livelli del carcere che assomiglia molto ad una sorta di via crucis verso la redenzione.

Il buco non è un gran film, va detto. Cattura sì l’attenzione ma lascia poco spazio all’interpretazione. Propone molti punti di vista diversi ma una sola chiave di lettura. Inizia come film d’azione per arrivare ad essere uno strumento di riflessione. Prevale la sensazione di qualcosa di già visto, con la fantascienza e la distopia che si collegano alle tematiche sociali.

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.