Intervista a Marco Ghizzoni: il “sarto” dei tipi umani della bassa padana

Un sabato pomeriggio di un ottobre stranamente caldo, le foglie imperterrite resistono sugli alberi, indifferenti alla stagione. Un appuntamento fissato all’ultimo momento, senza preavviso, vicino eppure così lontano da Milano, in una cittadina di provincia della bassa padana. Cremona, una passeggiata per le vie intorno alla piazza centrale, in compagnia di Marco Ghizzoni che ha ambientato i suoi racconti ((pubblicati da Guanda) nella campagna tra la città e il Po. Gialli che non sono solo gialli, cronache che non sono solo cronache, satira di costume che non è solo quello.

Come si forma il Marco Ghizzoni scrittore?
Si forma innanzitutto come lettore, sono convinto che senza lettura non ci sia scrittura che tenga. Per una questione cronologica e organizzativa, ho cercato di leggere i classici più importanti delle cinque principali letterature occidentali, ovvero ciò che è stato scritto prima di me, per poi passare ai contemporanei, poiché è fondamentale conoscere ciò che viene scritto al giorno d’oggi e come viene scritto: per carpirne i segreti, laddove è possibile, ma anche per capire come e cosa non scrivere. Non tutto ciò che viene pubblicato è di buona qualità.

Marco, chi scrive ha un motivo, un elemento scatenante, una ispirazione. Quale è stata e come è scoccata la tua scintilla?
Ho iniziato a scrivere quando sono finite le orecchie disposte ad ascoltarmi. Scherzi a parte, ho sempre amato le storie, quelle scritte e quelle raccontate, e ho pensato che anch’io potessi produrne di interessanti e divertenti per intrattenere e far riflettere amici, parenti e, soprattutto gli sconosciuti. Con questi ultimi si rischia molto poco.

Boscobasso. I tuoi lettori conoscono bene il nome di questo paese della bassa padana, nel quale hai ambientato i tuoi romanzi. Sei conscio che la prima cosa che fanno è andare a cercarlo su Maps?
Nessun problema, tanto non esiste. Benché la rudimentale cartina presente nel primo romanzo richiami un paese della bassa realmente esistente, particolari e suggestioni sono frutto di ricordi e fantasie. Mi serviva uno scenario dove far recitare i miei personaggi, così ho attinto da scorci della provincia cremonese che mi hanno conquistato.

La trattoria, la parrocchia, la bocciofila, la caserma dei carabinieri, la piazza. Sono luoghi, che come si respira nei tuoi racconti, sembrano appartenerti, far parte della tua vita. E’ così?
Una volta, sì, soprattutto quando ero piccolo e le mie giornate si svolgevano in compagnia di numerosi amici tra oratorio, piazza e cortili a seconda di chi ci cacciava prima, esasperato dalle nostre partite a calcio e dalle relative esultanze. Mia madre ha avuto un bar osteria per quasi vent’anni, era inevitabile che frequentassi un certo tipo di umanità, sebbene di striscio.

Crescendo le cose sono cambiate e ho cominciato ad apprezzare di più la calma e la tranquillità di casa mia, dei musei, dei teatri e delle librerie.  La città, seppur piccola come Cremona, non offre la vita di piazza tipica dei piccoli centri di provincia e, per fortuna, neppure i pettegolezzi che ne derivano inevitabilmente.

Il paese è un modello di vita o una fuga dalla realtà?
Per come lo si vive in Italia, direi più un rifugio: ci si conosce tutti, si mantengono le stesse abitudini per una vita, i luoghi di incontro sono sempre gli stessi e, difficilmente, l’esistenza degli abitanti può prendere una piega inaspettata. Da un certo punto di vista è rassicurante perché il margine d’errore è minimo e, comunque, sempre redimibile, ma ha il suo lato oscuro. La città, invece, perdona molto meno.

Ti hanno paragonato a Guareschi e a Vitali. A chi di loro ti senti più vicino?
Per l’ambientazione e la volontà di fare una satira dei costumi di provincia , direi Guareschi, ma l’umorismo e lo stile sono sicuramente più vicini a quelli di Vitali da cui, lo dico con orgoglio, ho imparato tanti piccoli stratagemmi narrativi. Non tralascerei di menzionare anche Tuzzi, Recami,  Malvaldi, Fruttero, Lucentini e il Soldati dei Racconti del maresciallo, letture altrettanto importanti per la formazione del mio stile.

Il cappello del maresciallo, I peccati della Bocciofila, L’eredità del Fantini sono i tuoi romanzi. Il maresciallo Nitto Bellomo, l’affascinante “bella del paese” Edwige Dalmasso personaggi fissi dei tuoi libri. Come nascono? Pura fantasia?
Nascono da un lavoro di taglio e cucito di tipi umani che ho incontrato nel corso della mia vita affinché siano adatti e funzionali alla storia che voglio raccontare. Nessun mio romanzo nasce per caso, a monte c’è sempre la volontà di mettere in scena dinamiche umane e sociali precise.

Ti senti un po’ Nitto Bellomo?
L’esatto opposto: sono puntuale, preciso, meticoloso e detesto i mezzucci per raggiungere gli obiettivi. I meriti vanno guadagnati, non ottenuti con l’inganno o la dabbenaggine come è solito fare il maresciallo e, in generale, l’umanità che popola Boscobasso e non solo…

Marco Ghizzoni subisce anche lui il fascino dell’Edwige?
No, l’Edwige è un’immagine di donna fatta su misura dell’uomo, scontata e stucchevole; la sua carnalità è apparecchiata su bolsi desideri maschilisti che lei recita ad arte per ottenere ciò che vuole. Gli unici a non accorgersene sono le sue vittime, designate e non.

Tre romanzi, tutti pubblicati da Guanda. Come sei riuscito ad arrivare subito a una casa editrice importante?
Grazie al prezioso lavoro di un consulente editoriale, ora amico, a nome Giovanni Cocco il quale ha educato la mia scrittura con pochi ma essenziali consigli. Mi ha seguito lungo tutta la stesura del mio primo romanzo, dopodiché lo ha inviato alla sua agente dell’epoca la quale, come da prassi, lo ha proposto a diversi editori. L’offerta di Guanda è arrivata nel giro di 24 ore, e io ne ero profondamente lusingato.

Quindi, una volta terminato un romanzo, a chi lo fai leggere per primo?
Oggi non ho più un agente. La prima persona a cui mando il dattiloscritto è il mio editore, per il semplice motivo che mi fido di lui ed è lui a deciderne la pubblicazione.

Cosa consiglieresti ai tanti scrittori alla ricerca di un editore?
Innanzitutto di leggere: tutto e tanto, molto più di quanto si scriva. È importante crearsi uno stile e avere le idee chiare su cosa si vuole scrivere, il mercato è fatto di settori ben chiari. A quel punto, è necessario trovarsi un agente che faccia da filtro con gli editori affinché il proprio dattiloscritto non finisca a fare la polvere insieme ad altre centinaia, questo perché l’Italia è quel curioso Paese in cui ci sono più aspiranti scrittori che lettori e le case editrici non hanno materialmente il tempo, e immagino nemmeno la voglia, di leggere tutto.

Cosa pensi di fenomeni come il self publishing e il crowdfunding come espedienti per pubblicare un libro?
Un mezzuccio, nient’altro, che salta i filtri necessari come agenti, editori, redazioni, etc., gli unici in grado di valutare il valore di un romanzo, per arrivare direttamente all’ignoranza del Paese: quella che non pensa ma si lascia pensare e prende decisioni dettate dalla massa e dal grado di popolarità su social network e altre piattaforme simili. Credo che il vero problema degli ultimi anni, da cui a cascata derivano tutti gli altri, sia la società del consenso. In sostanza, non importa cosa fai, come lo fai e cosa hai fatto per poterlo fare; l’importante è che gli altri ti vedano farlo.

Tra poco arriveremo al self-graduating e chiunque potrà svolgere qualsiasi attività, comprese quelle ben più difficili e importanti dello scrittore, a patto che vengano espletate on line a suon di like e visualizzazioni.

A questo punto la domanda è d’obbligo: progetti futuri?
In aprile uscirà per Tea, l’altro mio editore, il nuovo romanzo che darà il via a una nuova serie: il tono sarà sempre leggero e ironico, ma le vicende di questi nuovi personaggi saranno ambientate a Cremona. Cambieranno quindi le dinamiche, le atmosfere e, se i primi tre romanzi sono una satira dei costumi di provincia, questi vogliono essere una satira sul potere da due soldi, quello che viene deriso fino a quando non lo si conquista. A quel punto diventa un’arma letale, in primis per se stessi.

Ci salutiamo, l’aria è più frizzante e la luce più morbida. Lascio Cremona, sicuro di aver incrociato per le vie qualche personaggio che ritroverò, adattato, nel prossimo romanzo di Ghizzoni.

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diSteve Fortunato

Piemontese di origine e milanese d’adozione. Imprenditore da sempre, ha sfogato principalmente nel marketing e nella comunicazione la creatività e il desiderio di nuovi orizzonti e di nuove sfide. Razionale e impulsivo, istintivo e sensibile. Racconta vicende e persone con una visione nichilista e un linguaggio crudo, duro, scarno a volte, che però sa cedere a momenti delicati, di sottile nostalgia.