Facciamo che ero morta

Facciamo che ero morta – Jen Begin. Un viaggio curioso e strampalato

Jen Begin con il suo romanzo di esordio Facciamo che ero morta pubblicato da Einaudi ci racconta una storia strampalata, coinvolgente dove il lettore si ritrova a viaggiare insieme a Mona, la protagonista tra bizzarrie, stravaganze, anime maledette, cuori infranti, macchie sporche da togliere, cassetti chiusi, polvere e aghi puliti da distribuire ai tossicodipendente come volontaria.

Ci troviamo a Lowel nel Massachusetts. Mona ha ventiquattro anni e si occupa di pulizie per guadagnarsi da vivere, la prima volta che andava a casa di un cliente le scattava sempre una sorta di manovra di seduzione. Il martedì sera, Mona si dedica al volontariato in un centro di tossicodipendenza dove conosce un tipo davvero strano e un po’ sporco, Laido, spalle larghe con un libro sempre al suo fianco: una presenza clandestina nella sua vita. Inizia un susseguirsi di scampagnate domenicali sopra i tetti abbandonati delle fabbriche e regali alquanto stravaganti. Di colpo per sfuggire da questa situazione divenuta troppo “surreale”, ci spostiamo a Taos in New Mexico alla ricerca di una casita de adobe, anche se al di sopra delle possibilità economica di Mona. Una coppia new age anglo-giapponese Nigel e Shiori (Yoko e Yoko) aprono le porte ad altre situazioni altrettanto singolari. Incontriamo Henry e Zoe, padre malato e figlia, la sensitiva Betty che non fa altro che collezionare bambole perturbanti e il desiderio di avere scatti rubati del suo ex marito John da parte di Mona, con la passione della fotografa.

Proprio questo nuovo lavoretto oltre alla quotidiana pulizia delle case, le fa incontrare un giovane gay non dichiarato, tutti lo chiamano Gesú, e il desiderio dello zio (l’ex-marito di Betty), il quale vorrebbe che si fidanzasse con Mona. Jen Begin intreccia stravaganze e fragilità umane dentro un romanzo che sembra un film, frizzante, vivo e giocoso. La Begin recupera il suo passato di donna di servizio, così come Mona ritorna indietro nel tempo, dove il padre Mickey, un uomo che le ha segnato l’infanzia e per il quale aveva inventato quel gioco «Facciamo che ero morta». Ma ora è giunto proprio il momento di ritorna a vivere.

Ironia sottile e originalità si mescolano nel romanzo che conquista nel 2017 il White Award per la narrativa. Facciamo che ero morta di Jen Beagin con traduzione di Federica Aceto ci consegna un bel viaggio empatico dentro e fuori le case, sotto e sopra i mobili, tra polvere e sporcizia dove la solitudine incoraggia a vivere diversamente. Non pensare alla solitudine come ad una forma di assenza. Se ci fai caso, la solitudine la puoi sentire nel corpo, come la fame. Permettile di farti compagnia. Jen Beagin e Mona ci accompagnano nell’imperfezione della vita e ci rende più umani, togliendoci la polvere sotto al tappeto.

copertina
Autore
Jen Beagin
Casa editrice
Einaudi
Anno
2019
Genere
Narrativa
Formato
Rilegato
Pagine
224
Traduzione
Federica Aceto
ISBN
9788806239886
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diGiorgio Cipolletta

Artista e perfomer italiano, studioso di estetica dei nuovi media. Dopo una laurea in Editoria e comunicazione multimediale, nel 2012 ho conseguito un dottorato di ricerca in Teoria dell’Informazione e della Comunicazione. Attualmente sono professore a contratto per corso di Fotografia e nuove tecnologie visuali presso Unimc. La mia prima pubblicazione è una raccolta di poesie “L’ombra che resta dietro di noi”, per la quale ho ricevuto diversi riconoscimenti in Italia. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo saggio Passages metrocorporei. Il corpo-dispositivo per un’estetica della transizione, eum, Macerata. Attualmente sono vicepresidente di CrASh e collaboro con diverse testate editoriali italiane e straniere. Amo leggere, cucinare e viaggiare in modo “indisiciplinato” e sempre alla ricerca del dono dell'ubiquità.