il traditore

Il traditore di Bellocchio è cosa (anche) nostra

Dopo i 13 minuti di applausi alla 72esima edizione del Festival di Cannes, per Il traditore, il nuovo film di Marco Bellocchio con Pierfrancesco Favino, il regista italiano ci consegna questa volta una figura controversa, il boss dei due mondi di Cosa Nostra, Tommaso Buscetta. La complessità dell’uomo viene sviscerata dal regista per comprendere, o meglio, restituire alla Storia, la propria parola, i propri fantasmi e purtroppo le molte stragi. Dopo Buongiorno notte, L’Ora di religione, Vincere Bellocchio torna a raccontare di un Italia scomoda, un’Italia “collusa”, dopo il terrorismo, il cattolicesimo, il fascismo, questa volta è Cosa Nostra a macchiare “le pagine italiane”.

La lotta spietata  durante la festa di Santa Rosalia del 1980 dove si sancisce “in apparenza” l’accordo tra i palermitani e i corleonesi arriviamo fino all’aprile del 2000, il giorno in cui Tommaso (don Masino) Buscetta muore a New York nel suo letto, come si era sempre augurato. La regia di Bellocchio in Il traditore “disvela” dentro questo range di tempo quasi venti anni di storia italiana, dove assistiamo alle stragi più efferate, una su tutte quella di Capaci 1992, dove trova la morte il magistrato antimafia Giovanni Falcone insieme alla moglie e gli agenti della scorta. L’affiliazione a Cosa Nostra inizia fin da quando si è piccoli, non si sceglie, ma si appartiene. Nella scena iniziale proprio durante la festa di Santa Rosalia, lo spettatore si trova di fronte immediatamente ad un patto “tacito e traditore” tra i palermitani e i corleonesi guidati da Totò Riina. Il traditore si dilata e si restringe, intervallando flashback del passato il Buscetta-bambino e la successione numerica di tutti gli omicidi compiuti dai corleonesi, una resa dei conti infinita e sanguinaria tra Riina e gli affiliati di Stefano Bontate. In questo teatro degli orrori, Buscetta parte per il Brasile, arrestato ed estradato, torna in Italia, dopo aver mal digerito anche la pessima notizia dell’assassinio dei suoi figli rimasti a Palermo Benedetto e Antonio (Gabriele e Paride Ciriello) e che il suo sodale Pippo Calò (Fabrizio Ferracane), anche lui “traditore” non ha protetto. Estradato in Italia, Don Masino consegna al giudice Falcone (Fausto Russo Alesi) una confessione di 487 pagine colme di nomi, cognomi, complicità, in grado di metter in ginocchio Cosa Nostra.

il traditore

L’incontro con Falcone avvia nel 1986 a quello che diventerà il maxi-processo di Palermo nel carcere dell’Ucciardone che porterà all’incriminazione di 455 mafiosi, di cui 336 arrestati. Per la prima volta viene fuori anche il nome di Giulio Andreotti. Bellocchio racchiude nello sguardo della cinepresa quel momento dove lo stesso Buscetta-Favino insieme a Luigi Lo Cascio, un tempo il Peppino Impastato di Marco Tullio Giordana, ora nei panni di Totuccio Contorno anche egli collaborazione con la giustizia “testimoniano” fornendo informazioni dettagliate sugli affari interni all’associazione mafiosa. Inoltre Bellocchio cattura con la sua regia durante il processo lo scontro verbale tra il Buscetta-Favino e Fabrizio Ferracane nei panni di Pippo Calò e quello con Riina in Nicola Calì, tutti si esibiscono in una strabiliante performance attoriale e l’aula del tribunale si trasforma in un “palcoscenico” dove Stato e Mafia incarnano una lotta all’ultimo grido.  Ma chi era veramente Buscetta? “Io ero alla base della piramide, sono sempre stato un soldato semplice. Ho sempre preferito le donne piuttosto che comandare”. Dopo tre mogli, alla fine 8 figli (due barbaramente uccisi, uno addirittura per mano proprio di Pippo Calò), Buscetta diviene il primo “pentito” di Cosa Nostra, istaurando un rapporto intenso con il magistrato Falcone. «Io non sono un pentito. Io sono un uomo d’onore». Il traditore è un film sull’Italia, un film sia Cosa Nostra che sullo Stato-Cosa rivelando un doppio “tradimento”. Il Tommaso Buscetta, cinematografato dal regista italiano Bellocchio, oscilla tra il fuori e il dentro, tra il tradire e l’escludere.

Il traditore è un uomo solo, sempre in fuga, destinato a rievocare i fantasmi del passato, rinchiuso “dentro una gabbia” pronto a far tremare le pareti e destabilizzando persino lo Stato italiano, per tutti gli altri di Cosa Nostra resta un infame, ma ciò che accomuna tutti, la comune condizione umana è quella dettata dalla morte “si muore sempre per qualcosa. Si muore e basta” è la frase che gli dice Falcone, lo stesso Falcone che offre quel pacchetto iniziato di Marlboro a Buscetta – ho accettato ieri le sue sigarette perché era un pacchetto già aperto. Ma una stecca o anche qualche pacchetto intero non li avrei accettati perché avrebbero significato che lei intendeva umiliarmi. In quel semplice gesto di “offerta” si spalanca la porta al “tradimento” per un nuovo “inizio”, una rinascita, che ovviamente non dà garanzia di sopravvivenza per nessuno dei partecipanti ad un “gioco” molto più grande. Ecco che il tradimento non si compie fino in fondo, il traditore “smaschera”, toglie il velo del silenzio su cui Cosa Nostra si è sempre appoggiata, un silenzio che “brilla”, fa esplodere e uccide. Il traditore è un film straordinariamente “vero” per riflettere sul nostro presente e il nostro passato, forse con meno “pugni in tasca”, ma restituendoci sicuramente il “teatro della vita e della morte”, un tradimento complicato e complice, un’affiliazione che non ci concede “salvezza” o “redenzione”. Bellocchio ci fa guardare fin dentro al silenzio  “omicida-mafioso”, mentre Favino incarna magistralmente il Buscetta personaggio complesso con tutte le sue “colpe” (i suoi delitti, i suoi traffici) restituendoci un uomo “solo”, sempre in fuga fino alla sua morte. Il traditore è un “buongiorno senza notte”, ma coraggioso di entrare dentro “le Cose Nostre”,  facendoci rendere conto che “Cosa Nostra” è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.

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diGiorgio Cipolletta

Artista e perfomer italiano, studioso di estetica dei nuovi media. Dopo una laurea in Editoria e comunicazione multimediale, nel 2012 ho conseguito un dottorato di ricerca in Teoria dell’Informazione e della Comunicazione. Attualmente sono professore a contratto per corso di Fotografia e nuove tecnologie visuali presso Unimc. La mia prima pubblicazione è una raccolta di poesie “L’ombra che resta dietro di noi”, per la quale ho ricevuto diversi riconoscimenti in Italia. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo saggio Passages metrocorporei. Il corpo-dispositivo per un’estetica della transizione, eum, Macerata. Attualmente sono vicepresidente di CrASh e collaboro con diverse testate editoriali italiane e straniere. Amo leggere, cucinare e viaggiare in modo “indisiciplinato” e sempre alla ricerca del dono dell'ubiquità.