dolor y gloria

Dolor y gloria di Almodóvar. Una radiografia sbiadita un regista stanco

Torna sul grande schermo il regista spagnolo Pedro Almodóvar con la pellicola Dolor y gloria. Il nuovo film conquista subito la settantaduesima edizione del Festival di Cannes con Antonio Banderas premiato come migliore attore che interpreta Salvador Mallo, un regista cinematografico di successo che non riesce più a realizzare nuovi progetti e affaticato da diversi disturbi psicosomatici.

Almodóvar ci fa viaggiare nel tempo fin dentro i ricordi del protagonista quando era bambino cucendo il rapporto strettissimo con sua madre, interpretata da Penelope Cruz. La storia si srotola partendo dalla restaurazione dopo trentadue anni di Sabòr, il celebre film di Salvador Mallo che porta il regista afflitto a recuperare il rapporto rotto con l’attore Alberto Crespo (Asier Exteandia) con cui ha condiviso le sorti di successo del film, innescando cortocircuiti irreversibili tra eroina, desideri e declini. “La pellicola è sempre la stessa. È il tuo sguardo che è cambiato”.

Presente e passato si mescolano attraverso flashback per restituire una radiografia del regista sia come uomo che come professionista che si sente in difficoltà con tutto il suo corpo e il suo dolore interno, e lo spettatore ne sente tutto il suo malessere e spera fino alla fine ad una rivincita.

dolor y gloria

Dolor y gloria vuol essere un manifesto del/sul regista spagnolo  Almodóvar toccando sotto le vene e scrutandone l’intimità l’uomo di cinema, attraverso un processo quasi-biografico. Il Salvador Mallo-Pedro  Almodóvar rappresentano il dolore e la gloria che si compenetrano e dove il ritorno al passato serve solo a costruire un futuro che sembra non esistere. Antonio Banderas-Salvado Mello riesce a calibrare attraverso il corpo tutte le fatiche e le sofferenze fisiche e interiore restituendoci il sapore amaro di un regista incapace di tornare a far sognare, né tanto meno ad immaginare. Le emicranie, le cicatrici rimando ad un corpo-scafandro che non riesce a muoversi sul territorio della vita. Lo spettatore di colpo si ritrova dentro alla regia di un film, un film nel film, una vita dentro la vita.

In Dolor Y Gloria Almodóvar conserva con maestria un processo meta-cinematografico che tenta di consegnare alla pellicola un potere salvifico da donare sia all’immaginazione dello spettatore che a se stesso come testimonianza di un percorso lungo e faticoso, tracciandone una radiografia delle ossa-corpo (il cinema affaticato) e del cervello-emicranico (immaginazione disturbata). Il regista spagnolo recupera una scoperta del cinema oramai lontana e l’incapacità di continuare a girare.  Almodóvar dopo due Oscar vinti, due Golden Globe, sei EFA, 7 Goya, 2 David, 5 Bafta, 2 César, un premio per la miglior regia e uno per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes, torna alla sua ventiduesima fatica cinematografica con il tentativo che il cinema diventi terapia contro l’autodistruzione e la depressione. Antonio Banderas resta il suo attore feticcio con una rappresentazione magistralmente corporea, è il corpo stesso ad essere la condizione materiale del film ed il cinema è un lavoro fisico. Lo sguardo di  Almodóvar lancia un’ode alla Madrid degli anni Ottanta e contemporaneamente accende i riflettori sulla crisi (la sua) di un regista che professionalmente e personalmente si sente stanco, fragile e privo di desideri.  Almodóvar emoziona (a tratti) trascinandoci fin dentro al film, all’interno di una frustrazione umana di chi da un lato ha già avuto una grande e importante carriera, ma che attualmente non riesce più a sorprendere. Ci sentiamo quasi stanchi alla fine come Salvador ( Almodóvar) e neanche capaci più di cambiare sguardo.

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diGiorgio Cipolletta

Artista e perfomer italiano, studioso di estetica dei nuovi media. Dopo una laurea in Editoria e comunicazione multimediale, nel 2012 ho conseguito un dottorato di ricerca in Teoria dell’Informazione e della Comunicazione. Attualmente sono professore a contratto per corso di Fotografia e nuove tecnologie visuali presso Unimc. La mia prima pubblicazione è una raccolta di poesie “L’ombra che resta dietro di noi”, per la quale ho ricevuto diversi riconoscimenti in Italia. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo saggio Passages metrocorporei. Il corpo-dispositivo per un’estetica della transizione, eum, Macerata. Attualmente sono vicepresidente di CrASh e collaboro con diverse testate editoriali italiane e straniere. Amo leggere, cucinare e viaggiare in modo “indisiciplinato” e sempre alla ricerca del dono dell'ubiquità.