Pedro Almodóvar – Gli abbracci spezzati

Pedro Almodóvar è un maestro nel narrare le passioni che agitano l’animo umano e, nel caso de Gli abbracci spezzati, anche la cecità dell’uomo nei confronti dell’esistere. Una cecità metaforica e reale, poiché il protagonista, Mateo Blanco / Harry Caine, è davvero cieco, anche se non lo è sempre stato: infatti, ha perso la vista in seguito a un incidente, in cui è morta Lena, la donna di cui era innamorato.

Mateo è uno sceneggiatore per il cinema, mentre Lena è l’amante del ricco Ernesto Martel (prima era la sua segretaria). Un giorno, Lena si presenta da Mateo per un provino e, immediatamente, l’uomo s’innamora di lei, scritturandola per il suo prossimo film. L’unico problema è il possessivo Martel, che, sospettando un legame tra la donna e Mateo, arriva a finanziare la pellicola, pur di tenere Lena sotto controllo. Nel farlo, si avvale dell’aiuto del figlio, Ernesto jr., incaricato di filmare tutte le fasi di lavorazione del film. Ed è proprio così, visionando quelle pellicole, che Martel scopre l’effettiva relazione tra Lena e Mateo, i quali decidono di fuggire, per iniziare una nuova vita insieme. La loro felicità è di breve durata, proprio a causa dell’incidente che li vede coinvolti. Ma si è trattato davvero di un incidente?

Gli abbracci spezzati (titolo ispirato a una scena de Il viaggio in Italia di Roberto Rossellini, che Almodóvar inserisce nel suo film) abbandona, in parte, lo stile folcloristico dei primi lavori del regista spagnolo (vedi Carne tremula), per concentrarsi di più su certe emozioni, come la morte (anche simbolica, quando Mateo rinuncia alla sua identità, per assumere quella di Harry), l’amore e poi il passato, che torna sempre a tormentare (come in Volver). Il compito di narrare tutto questo è affidato proprio al mezzo cinematografico, vero protagonista del lungometraggio. L’ultima battuta, «i film vanno finiti, anche se alla cieca», può essere letta in due modi: da una parte, sul piano concreto, in riferimento al film che Harry (nel frattempo tornato Mateo) decide di rimontare; dall’altra, i film finiscono per identificarsi con la vita stessa, degna di essere vissuta nonostante i piccoli traumi quotidiani e un percorso non sempre definito (intrapreso, appunto, alla cieca).

Solo due pecche nel lungometraggio: la mancanza di un colpo di scena circa l’incidente di Mateo e Lena (Almodóvar era riuscito a creare una certa suspense che, purtroppo, rimane delusa) e il fatto che quasi tutto il pathos del film sia dovuto alla bravura di Penélope Cruz, mentre il resto del cast rimane decisamente sottotono, inclusa la solitamente brava Blanca Portillo, per non parlare del ruolo del tutto marginale – se non del tutto inutile – di Ángela Molina.

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