Dopo 20 anni l’Afghanistan è ripiombato nel caos, i Talebani hanno ripreso il potere, e la fragilità delle missioni di pace e controllo occidentali si sono rivelate a noi facendo molto rumore.
Le guerre in Afghanistan però non iniziano ieri, oggi, vent’anni fa. Kabul è sempre stata una città in guerra, piena di contraddizioni, divisa dalla politica, dalla religione, dalla cultura. Una città a cavallo tra l’Occidente e il Medio Oriente, tra l’Africa e la Russia.
Questa terra e i drammi che l’hanno attraversata sono stati raccontati sia da giornalisti che da romanzieri, e la letteratura ha spesso trovato forme ibride per narrare non solo i conflitti ma anche la vita di tutti i giorni del popolo afgano. Qui vi consigliamo 7 libri, diversi tra loro, che hanno raccontato l’Afghanistan e Kabul, i loro conflitti, i loro sogni e la loro storia.
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Il cacciatore di aquiloni – Khaled Hosseini
Si dice che il tempo guarisca ogni ferita. Ma, per Amir, il passato è una bestia dai lunghi artigli, pronta a riacciuffarlo quando meno se lo aspetta. Sono trascorsi molti anni dal giorno in cui la vita del suo amico Hassan è cambiata per sempre in un vicolo di Kabul.
Quel giorno, Amir ha commesso una colpa terribile. Così, quando una telefonata inattesa lo raggiunge nella sua casa di San Francisco, capisce di non avere scelta: deve tornare a casa, per trovare il figlio di Hassan e saldare i conti con i propri errori mai espiati.
Ma ad attenderlo, a Kabul, non ci sono solo i fantasmi della sua coscienza. C’è una scoperta sconvolgente, in un mondo violento e sinistro dove le donne sono invisibili, la bellezza è fuorilegge e gli aquiloni non volano più.
Mille splendidi soli – Khaled Hosseini
A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua “kolba” di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema.
Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa del padre, dove lui non la porterà mai perché Mariam è una “harami”, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione.
Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del loro funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashtu e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra. Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile. Dall’intreccio di due destini, una storia che ripercorre la storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.
Lettere contro la guerra – L’Afghanistan e i conflitti di Tiziano terzani
Questo libro è la prima tappa di un pellegrinaggio di pace. Un pellegrinaggio compiuto da un uomo che, nel corso della sua vita, è stato un cronista coinvolto in prima persona nella realtà che descriveva; un giornalista capace d’individuare per istinto i segni che un determinato avvenimento lascia sul territorio sconfinato della Storia; un narratore con una voce unica, spesso fuori del coro, sempre autentica e piena di comprensione.
Un uomo che, prima dell’11 settembre 2001, ha sempre avuto una profonda consapevolezza dell’abisso culturale, ideologico, sociale aperto (e spesso ignorato) tra l’Occidente in cui è nato e l’Oriente in cui ha vissuto per trent’anni. Un uomo che, dopo l’11 settembre 2001, ha capito di non poter più tacere di fronte alla barbarie, all’intolleranza, all’ipocrisia, al conformismo, all’indifferenza. Tiziano Terzani, con queste «lettere» da Kabul, Peshawar, Quetta, ma anche da Orsigna, Firenze, Delhi e dal suo «rifugio» sull’Himalaya, assolve un dovere verso il futuro di tutti noi, comincia un pellegrinaggio che tutti noi dovremmo compiere.
Perché non basta comprendere «il dramma del mondo musulmano nel suo confronto con la modernità, il ruolo dell’Islam come ideologia anti-globalizzazione, la necessità da parte dell’Occidente di evitare una guerra di religione»; bisogna soprattutto capire, convincersi, credere che l’unica via d’uscita possibile dall’odio, dalla discriminazione, dal dolore è la non-violenza. E con disarmante, provocatoria, audacissima semplicità ci dice: «Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi. Fermiamoci, riflettiamo, prendiamo coscienza, facciamo ognuno qualcosa. Nessun altro può farlo per noi».
Kabul – Ettore Mo
Ettore Mo è arrivato a Kabul per la prima volta nel giugno del 1979 per documentare le fasi iniziali della guerriglia dei mujaheddin contro il regime rivoluzionario appoggiato dai russi.
Sei mesi dopo l’Unione Sovietica avrebbe mandato le sue truppe d’occupazione, e da allora l’Afghanistan non avrebbe avuto più pace.
In tutti questi anni, Mo è tornato, anche illegalmente, su quelle montagne, dove ha conosciuto e intervistato i capi della guerriglia islamica, uniti contro i russi e divisi dopo la vittoria, e ha visto da vicino l’avanzata dei Talebani in Afghanistan, appoggiati dal Pakistan e, a lungo, dall’Arabia Saudita e dalle compagnie petrolifere americane.
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Le rondini di Kabul – Yasmina Khadra
Sullo sfondo di una città messa a ferro e fuoco da vent’anni di guerre Yasmina Khadra ambienta questa storia che mette i brividi, una vicenda che sembra uscire da una tragedia classica, con quattro protagonisti colti in un momento cruciale della loro esistenza: Atiq, il guardiano del carcere che non riesce più a sostenere il ritmo delle esecuzioni, sua moglie Mussarat, condannata da un male incurabile, Mohsen, un borghese decaduto, e sua moglie Zunaira, un tempo avvocato e sostenitrice della causa femminista.
Ognuno di loro incarna un modo diverso di rispondere all’integralismo: la resistenza, la pazzia, la sottomissione, la fuga nell’illusione.
Ma per tutti e quattro viene il momento di dare un senso alla propria vita, attraverso l’amore e il sacrificio. Affidandosi a un scrittura ricca e intensamente poetica, Yasmina Khadra scaraventa il lettore nel cuore di una follia in cui si perdono i confini tra vita, amore, morte e sopravvivenza.
Un bagno al vetriolo da cui si esce sconvolti, un romanzo straordinario, che è anche un grandioso inno alla donna, da una delle più importanti voci del mondo arabo.
Francesca Mannocchi – Porti ciascuno la sua colpa
Abbiamo diviso in modo netto carnefici e vittime, l’Occidente e il caos; abbiamo tranquillizzato la nostra coscienza con racconti semplicistici. Abbiamo tracciato un confine tra umano e disumano.
Così l’Isis era un mostro sconosciuto che andava annientato, e le terre su cui ha allignato solo delle terre guaste da lasciare al loro destino segnato.
Eppure, se avviciniamo lo sguardo scopriamo quanto di irresistibilmente umano è restato dove abbiamo pensato non ci fosse bisogno di guardare più nulla.
Non c’è un solo ritratto in “Porti ciascuno la sua colpa” che non si incida nella nostra mente: le donne vedove di miliziani pronte a essere madri di altri martiri, i bambini dei carnefici dell’Isis accanto ai bambini delle vittime dell’Isis nello stesso campo profughi, i giovanissimi orfani del Califfato che speravano di immolarsi in un attentato e adesso senza una gamba guardano fisso il vuoto, gli adolescenti terroristi che sembrano dei ragazzi di una qualunque periferia del pianeta.
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Buskashi – Gino Strada
La buskashì è il gioco nazionale afgano: due squadre di cavalieri si contendono la carcassa di una capra decapitata.
È un gioco violento e senza regole: l’unica cosa che conta è il possesso della carcassa, o almeno di quello che ne resta, al termine della gara.
È come il tragico gioco a cui partecipano i numerosi protagonisti del conflitto afgano, una partita ancora in corso, solo che al posto della capra c’è il popolo dell’Afghanistan. Buskashì è la storia di un viaggio dentro la guerra, che ha inizio il 9 settembre 2001, con l’assassinio del leader Ahmad Shah Massud, due giorni prima dell’attentato di New York.
Un viaggio ‘clandestino’ per raggiungere l’Afghanistan mentre il Paese viene abbandonato da tutti gli stranieri e si chiudono i confini.
L’arrivo nella valle del Panchir, l’attraversamento del fornte sotto i bombardamenti per raggiungere Kabul alla vigilia della disfatta dei talebani, la conquista della capitale da parte dei mujaheddin dell’Alleanza del Nord, la Kabul ‘liberata’: l’esperienza della guerra vista dagli unici testimoni occidentali della presa di Kabul.
Foto in evidenza: https://www.flickr.com/photos/ministerodifesa/26045731757