Bridgerton

Bridgerton ovvero quando Shonda Rhimes incontrò Netflix

Bridgerton è una serie televisiva creata da Chris van Dusen e prodotta dalla Shondaland di Shonda Rhimes, celebre sceneggiatrice e creatrice con Dusen di serie come Grey’s Anatomy, Private Practice e Scandal. Lo show è basato sui romanzi della scrittrice americana Julia Quinn, nove volumi ambientati nel mondo dell’alta società londinese durante l’età Regency.

La serie ha debuttato il 25 dicembre 2020 su Netflix e al momento è la quinta produzione più vista di sempre sulla piattaforma (63 milioni di famiglie) e nella Top 10 di quaranta paesi, Italia compresa.

Gli otto episodi di Bridgerton sono stati girati a Londra e a Bath; dato l’enorme successo, si vocifera che da marzo 2021 verrà girata una seconda stagione (qualcuno immagina già nove stagioni, come i libri di Quinn).

Prima di iniziare e a scanso di equivoci: Bridgerton non è una serie storica e non ha la minima pretesa di esserlo, anzi, tutto ruota molto liberamente proprio attorno a questa impostazione. E adesso, parliamone (ma senza spoiler)!

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La trama

Londra, 1813. A Grosvenor Square abitano la famiglia Featherington e la famiglia Bridgerton, quella che dà il nome alla serie: Lady Violet Bridgerton, i suoi quattro figli Anthony, Benedict, Colin e Gregory e le sue quattro figlie Daphne, Eloise, Francesca e Hyacinth. Comprimari sulla scena sono i Featherington: Lady Portia, suo marito il barone Featherington, le tre figlie Philippa, Prudence e Penelope. Siamo nell’alta società londinese, nella stagione in cui le giovani donne debuttano in società alla ricerca di un marito e le madri sono in fermento, intente a intrecciare destini e trovare una buona sistemazione per le proprie figlie.

Protagonista della prima stagione è Daphne Bridgerton (Phoebe Dynevor) che, apprezzata dalla stessa regina Carlotta (moglie di re Giorgio III), incontrerà il duca di Hastings, Simon (Regé-Jean Page), scapolo ambìto e amico di Anthony Bridgerton.

Voce fuori campo, invisibile allo spettatore e agli altri personaggi, è l’onniscente Lady Whistledown (Julie Andrews), misteriosa autrice di un giornale distribuito gratuitamente in città. Il suo Society Papers aggiorna l’alta società sui pettegolezzi e gli avvenimenti del momento. Tra i protagonisti, nessuno sembra leggere libri, tranne Penelope Featherington, la quale viene apostrofata da sua madre Portia con una frase indimenticabile: «Chiudi subito quel libro, ti confonderà i pensieri!».

Simon ovvero il duca di Hastings giunge a Londra per gestire gli affari di famiglia, unico erede del ducato dopo il recente funerale di suo padre. Non vorrebbe partecipare al ballo “delle debuttanti” ma è obbligato da Lady Danbury. Così incontrerà Daphne, con la quale stringerà un patto: si mostreranno insieme davanti a tutti, in modo da evitare entrambi il fastidio di molesti spasimanti o insistenti madri e signorine di Park Lane e Regent Street. E qui ci fermiamo, per non anticipare nulla a chi ancora deve vedere la serie tv.

La recensione

Sotto un’apparente frivolezza e con una trama altrimenti inconsistente, questo show porta alla luce tematiche di grande attualità, che inondano il discorso delle relazioni (felici o meno che siano) tra uomini e donne. Shonda Rhimes colpisce ancora, con il suo stile inconfondibile. Dialoghi serrati e frasi incisive e corrosive, scene che cambiano con ritmo frequente, personaggi che si susseguono con rapidità, storie che si intrecciano, finale parlato con crescendo musicale. A proposito, la scelta musicale è ampia e originale: sia il pianoforte di Daphne sia l’orchestra d’archi (in realtà il Vitamin String Quartet) eseguono musiche di ogni epoca e stile: si passa ad esempio da Bach con il Concerto Italiano a una Sonata di W. A. Mozart, dalla Waldstein di Beethoven a Bad Guy di Billie Eilish, dall’immancabile Richter/Vivaldi a Bellini, dal Valzer di Shostakovich a Thank u, next di Ariana Grande.

Tornando alle frasi corrosive, oltre ai narratori interni (ad esempio Daphne e Simon che parlano delle altre coppie), c’è appunto Lady Whistledown, la quale si rifà chiaramente allo stile di Jane Austen ma in modo molto meno elegante, con la sua voce chiara e pungente che regala perle di assoluta godibilità, frasi già memorabili come: «È stato detto che tra tutte le cagne, vive o morte, una donna che scribacchia è la più canina. Se ciò è vero, l’autrice gradirebbe mostrarvi i suoi denti. Mi chiamo Lady Whistledown, non mi conoscete e vi assicuro che non mi conoscerete mai, ma vi avverto, gentili lettori, io di certo conosco voi». Daphne è un’eroina determinata ad andare fino in fondo: il suo viaggio va dall’ingenuità iniziale alla piena affermazione di se stessa. Schiacciata, come e più delle altre coetanee, da un fratello che vuol farle da padre e unico consigliere, l’esile Daphne deve sostenere gli sguardi di tutti; la giovane Miss Bridgerton è infatti sotto la costante osservazione di mille occhi: madri, sorelle, fratelli, regina, amiche, nemiche, pretendenti. Il suo unico scopo? Non rimanere zitella (termine per fortuna in disuso oggi ma sicuramente utilizzato all’epoca e anche nella serie). Notevole però, questa Daphne, fin da subito. Ad esempio quando dice a suo fratello: «Non sai cosa significhi essere una donna, come ci si sente a sapere che la propria vita è ridotta a un solo momento. Sono stata cresciuta solo per questo, non ho un altro valore. Se non riuscirò a trovare marito, sarò una donna inutile». Privilegio maschile e non conoscenza del proprio corpo né possibilità di sperimentare con altri partner se non con colui che per imposizione o più raramente per amore sarà il marito, sono solo alcuni dei temi trattati. La stessa Daphne, parzialmente uscita dalla sua ignoranza iniziale, rimprovererà sua madre così: “Mamma, mi hai mandata fuori nel mondo totalmente sprovveduta, circa i rapporti tra coniugi e tutto quanto”. A questo punto, è opportuno scomodare almeno Mary Wollstonecraft che nel 1792 scrive: «Le donne si trovano dovunque a vivere in questa deplorevole condizione: per difendere la loro innocenza, eufemismo per ignoranza, le si tiene ben lontane dalla verità e si impone loro un carattere artificioso, prima ancora che le loro facoltà intellettive si siano fortificate. Fin dall’infanzia si insegna loro che la bellezza è lo scettro della donna e la mente quindi si modella sul corpo e si aggira nella sua gabbia dorata. Le donne sono costrette ad occuparsi di una cosa sola e a concentrarsi costantemente sulla parte più insignificante di se stesse». Daphne soffre per tutto questo, rivendica il suo diritto di sorridere liberamente o di volersi sposare per amore. Il suo sarà un percorso vertiginoso e rapidissimo.

Bridgerton

Il vero tema di questa serie in realtà è il piacere femminile, collegato ai temi dell’erotismo, del consenso e del corpo vissuto con gioia. Con buona pace anche delle molte donne che non amano spot televisivi espliciti al riguardo, si vede chiaramente perfino del sangue mestruale su un panno.

Il versante maschile se la passa meglio ma non troppo. La figura di Simon viene ricostruita gradualmente grazie a vari flaschback che ne delineano i contorni. Qui vediamo il bambino che diventa un uomo «sempre degno dell’attenzione di cui è fatto oggetto». Un uomo che sa rispettare una donna, sa chiedere il permesso ma che è anche molto sicuro di sé, è infatti un libertino che può diventare il migliore dei mariti, come si dice nel corso delle puntate. La figura paterna, anaffettiva e respingente contro il suo unico imperfetto figlio, gioca un ruolo cruciale nella psiche di Simon e lo lega a un giuramento che, nelle favole, solo l’amore può spezzare; in realtà, questa promessa è più una maledizione che si ritorce contro il giovane duca stesso e rovina la sua vita adulta. Hastings non si sente quindi capace di ispirare e ricevere amore, perfino dalla donna che ama; pur avendo grande esperienza di mondo, tanto da poter dare consigli espliciti a Daphne circa l’autoerotismo, non sa come diventare l’uomo di cui la sua amata ha bisogno e continua a scappare, a non voler risolvere insieme a lei le cose. Simon resta lontano dal cuore (dice infatti «ho lasciato che i sentimenti mi dominassero», come se si trattasse di un errore), dagli affetti, dall’amore ma non ha più esperienza di lei in campo affettivo. Daphne non conosce il passato di lui né le sue intenzioni, mentre l’odio di Simon verso il suo passato sembra valere più dell’amore che prova per lei. Il fratello di Daphne dice saggiamente ad Hastings: «La tua rabbia non riguarda me, rivolgila altrove e risolvi i tuoi problemi». Dunque, qui si toccano le tematiche del modello paterno assente e negativo e della mascolinità tossica che ne deriva, con emozioni represse, non gestite e dirette all’esterno, verso le persone sbagliate.

Nonostante non ci sia quasi nulla di storicamente vero, in Bridgerton permangono le dinamiche sociali che schiacciano sia gli uomini che le donne: si vede chiaramente che quasi tutte le coppie sono infelici o basate su menzogne (e qui si tocca anche il tema dell’omosessualità).

Curiosamente, come in Grey’s Anatomy, il titolo della serie è il cognome della protagonista. Non il nome, come accade nelle soap-opera di ogni tempo, ma proprio il cognome. Un richiamo indiretto e neanche troppo velato a un film già cult è invece la frase di Simon per Daphne, «Chiamami con il mio nome/ Call me by my name», che inesorabilmente rimanda il pubblico al celeberrimo Call me by your name tra Timothée Chalamet e Armie Hammer.

Chi ha scritto questa serie tv sa benissimo a quale pubblico si rivolge e il pubblico apprezza e ringrazia, in attesa di «un’altra scandalosa stagione londinese», come suggerisce in chiusura una sempre meno misteriosa Lady Whistledown.

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diMarta Lilliù

Sono nata ad Ancona nel 1985 e sono cresciuta ad Osimo. Sono laureata in Lettere (Università degli Studi di Macerata) con una tesi in Storia Moderna sulle Suppliche del XVIII sec. dell’Archivio Storico di Osimo. Sono diplomata in Pianoforte e in Clavicembalo (Conservatorio “G.Rossini” di Pesaro).
Dal 2012 abito e lavoro in Liguria, dove ho approfondito l’ambito della didattica musicale (abilitandomi all’insegnamento del Pianoforte presso il Conservatorio “N.Paganini” di Genova) e della didattica speciale, cioè rivolta al Sostegno didattico ad alunni con disabilità (Università degli Studi di Genova). Ho vissuto a Chiavari e Genova. Attualmente vivo a Sestri Levante, dove annualmente si svolgono il Riviera International Film Festival e il Festival Andersen.
Sono docente di Pianoforte a tempo indeterminato a Levanto, Monterosso e Deiva Marina.
Abbandono talvolta la Liguria per muovermi tra le Marche e Londra, città in cui ricopro ufficialmente il ruolo di...zia!