Roberto Camurri

Roberto Camurri: racconto ciò che è profondamente mio

Roberto Camurri è tornato in libreria con il romanzo Il nome della madre (NN editore). Una storia intima, che parla di famiglia e generazioni, e che segue il filone di A misura d’uomo nello scavare e raccontare l’animo umano e alcuni momenti della vita.

In questa intervista a Roberto Camurri abbiamo cercato di capire meglio il suo stile, cosa vuol dire per lui muoversi tra presente e passato, il rapporto tra letteratura e tempo.

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Il nome della madre. Tra famiglia ed intimità

Roberto Camurri, dopo A misura d’uomo torni con un nuovo romanzo. Come sono stati questi anni e come hai vissuto il successo del precedente romanzo?

Sono stati anni strani e bellissimi, complicati, in cui ho fatto un po’ fatica a stare in equilibrio nella mia vita, il libro non l’ha stravolta, ma sicuramente le ha dato un bello scossone. Dopo un primo periodo in cui è stato inevitabile sentirmi al centro dell’attenzione, sono riuscito piano piano a riprendere il mio solito posto, quello in cui mi metto in un angolo a osservare, una condizione per me necessaria per poter scrivere le storie che mi interessa scrivere.

Il nome della madre è una storia intima e familiare. Quanto c’è di personale e come è nata una storia così intima?

Roberto CamurriL’idea nasce dal fatto che nel nuovo romanzo avrei voluto concentrarmi su quello che in A Misura D’Uomo non c’era, mostrare l’altro lato di una stessa medaglia. I legami famigliari. Mi piaceva anche confrontarmi con le premesse opposte, se in A Misura D’Uomo i personaggi femminili erano quelli che rimanevano, qui volevo mostrare l’andarsene, l’abbandonare a se stessi i personaggi maschili, lasciarli senza figure a cui potersi aggrappare. Poi, come spesso mi capita, nella scrittura parto da qualcosa che è profondamente mio, autobiografico, e lo trasformo in qualcosa di diverso, qualcosa che mi serve per raccontare la storia che ho in testa.

Nel romanzo precedente indagavi l’amicizia, mentre qui ti soffermi sul rapporto tra generazioni. La parte centrale sembra essere comunque l’animo umano. Quanto ti interessa raccontare l’uomo ed ogni sua sfumatura? E su cosa ti soffermi in particolare?

Non so se mi interessa raccontare l’animo umano; so, però, che mi interessa andare a raccontare quei momenti che mi hanno reso la persona che sono oggi. E credo che siano l’infanzia e l’adolescenza, periodi della vita in cui non si hanno gli strumenti adatti per codificare le tempeste emotive da cui si è inevitabilmente travolti. Per me, almeno, è stato così. E forse, oggi che sono diventato adulto, sento il richiamo del provare a spiegarmeli, del poter fare pace, smettere di essere arrabbiato e poter guardare a quei periodi senza giudizio.

L’abbandono, il paese e le generazioni

Il nome della madre è un libro sull’abbandono. Se per Ettore è difficile superare il fatto di essere stato lasciato all’improvviso, per Pietro diventa impossibile tagliare i lacci con il suo passato. Come vivono l’abbandono i tuoi personaggi?

Ettore, in qualche modo, non riesce a immaginare un futuro che non sia quello già scritto, quello tramandato dalle generazioni precedenti, dai suoi genitori. È costretto a crescere da solo il proprio figlio schiacciato dal senso di responsabilità, nella contrapposizione emotiva che Pietro smuove in lui, da un lato l’amore paterno e dall’altro il continuo ricordo di sua moglie che l’ha abbandonato. Prova, perciò, a ricostruire la propria vita restando dentro questo schema, perpetuandolo. Pietro invece si rende conto, senza realizzarlo chiaramente, che c’è forse un modo diverso, che la scelta non è soltanto tra l’essere come suo padre o l’essere come sua madre. Cerca, muovendosi con istinto, senza razionalità, di trovarlo fino a capire che non deve rinnegare il proprio passato, ma forse trasformarlo per trovare un nuovo modo.

In fondo in questo romanzo si parla anche del rapporto tra generazioni. Che rapporto hai con le generazioni precedenti e, da padre, con quelle future?

Con le generazioni che mi hanno preceduto ho subito avuto un rapporto conflittuale, ci ho messo un po’ a vedere i miei genitori come esseri umani, come persone fallibili che hanno fatto del loro meglio per educarmi. Mi rendo conto, adesso, che la mia è una generazione strana, che ha vissuto per prima l’arrivo di internet, del mondo sempre a portata di mano e credo che il nostro compito sia quello di trovare un linguaggio nuovo per riuscire a comunicare con le generazioni che verranno dopo, quella di mia figlia, per esempio. Un linguaggio che assimili il lascito delle generazioni precedenti senza sconfessarlo.

Parliamo di Fabbrico. Un piccolo paese che incombe come un macigno sui tuoi personaggi. Che tipo di legame hai con la tua piccola città? Perché conta così tanto, in positivo o in negativo?

A differenza di quello che ho fatto con A Misura D’Uomo, scrivere una lettera d’amore al mio paese, qui ne Il Nome Della Madre, Fabbrico è diventato più il luogo in cui vado a pescare le storie che voglio raccontare, il posto in cui il mio immaginario si è formato, quel luogo forse non più reale ma dentro di me dove guardo per provare a spiegarmi le relazioni che hanno accompagnato la mia infanzia, la mia adolescenza, le prime tempeste emotive che adesso provo a raccontare con il mio sguardo adulto, con più consapevolezza e strumenti.

Roberto Camurri, la narrativa e il tempo

Memoria e letteratura. Che importanza dai alla narrativa per scavare nel passato?

Non saprei, non credo che sia la letteratura a farci scavare nel nostro passato, credo più che la narrativa ci metta nelle condizioni, nell’apertura mentale, di osservare e porsi domande, indagare chi siamo stati e i motivi che ci hanno portato a essere chi siamo oggi.

Memoria e futuro. Davvero è impossibile costruire un futuro se non si è fatto i conti con il passato?

Non lo so, per me è così, ma non credo sia una regola generale. Per me è fondamentale la memoria, avere ben presente da dove siamo partiti, cos’è successo nel passato e le motivazioni che hanno portato le generazioni precedenti a comportarsi come si sono comportate. Il passato, per me, sono le fondamenta su cui costruire il futuro, capirlo è fondamentale per costruire una casa resistente.

Roberto Camurri, per te contano di più le esperienze del passato o le possibilità del futuro?

Credo che una cosa non escluda l’altra, ritengo sia importante essere consapevoli delle esperienze per poter valutare le possibilità del futuro.

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.