Martin Eden

Martin Eden: il marinaio-scrittore e il peso della Storia

Dopo Il passaggio della linea (2007), La bocca del lupo (2009) e la Bella e perduta (2015), il regista campano Pietro Marcello torna sugli schermi consegnandoci con potenza nostalgica un archivio portentoso di immagini in bianco e nero che si fanno respiro dentro una storia, quella di Martin Eden, tratta liberamente dal racconto di Jack London (1908), conservandone allo stesso tempo il peso necessario della memoria.

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Dopo la recentissima premiazione alla 76a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nel corpo di Martin Eden, Luca Marinelli conquista la Coppa Volpi come migliore interpretazione maschile. Il nuovo film di Pietro Marcello rappresenta simbolicamente una storia sia collettiva che individuale. Chi è Martin Eden? Un giovane avventuriero con il mare nel cuore, le unghie nere e le spalle grandi che ne raccolgono il peso della vita e una cicatrice ben piazzata sul collo. Vive a Napoli all’inizio del Novecento a casa della sorella e del marito. Un giorno riuscendo a sanare una lite al molo, salva il giovane Arturo Orsini (Giustiniano Alpi), rampollo emergente della borghesia industriale e invita Martin a casa. Da questo momento la storia del giovane marinaio cambia radicalmente entrando in un mondo perbenista. Incrociando gli occhi e le parole della sorella di Arturo, Elena Orsini (Jessica Cressy), in Martin nasce un desiderio straordinario di emancipazione individuale, iniziando a divorare libri con sete cieca di sapere e di riparazione del suo “italiano” zoppo, ricorrendo ad una buona grammatica prestata dalla giovane Orsini. Nasce in Martin  Eden il la passione e il sogno di diventare uno scrittore. Baudelaire gli allevia la fame dello stomaco, mentre Herbert Spencer asseta la mente per un coinvolgimento appassionato sull’evoluzione darwiniana sociale dell’uomo. I versi che Martin inizia a scrivere, sono versi disperati, sinistri, nudi che raccontano la vita vera, quella sociale, quella dei poveri costretti a faticare per tutta la vita e destinati a sopravvivere. Le numerose letture per una conquista di emancipazione, non solo culturale, fa perdere il controllo a Martin che vede di colpo sfuggire persino la sua amata Elena e il loro amore molto criticato dalla famiglia Orsini (Matilde Orsini-Elisabetta Valgoi e il signor Orisini-Pietro Ragusa).

Ci sono altre due donne affianco ad Eden, Maria, vedova e madre di due bambini, ricamatrice costretta a lavorare per pagare i debiti e sfamare la famiglia, che dopo aver incontrato su un treno Martin, gli  offre una stanza in affitto. L’altra donna che entra nella vita di Martin è Margherita, meno emancipata, ma  affettuosa e accogliente, che disprezza in un primo momento non appartenendo più alla sua nuova classe sociale, ma dalla quale ritorna, dopo aver chiuso definitivamente il rapporto con la Orsini. Martin Eden entra di colpo dentro una fase di totale annullamento di sé stesso producendo una reazione negativa nei confronti della classe dei marinai, degli operai a cui un tempo in qualche modo apparteneva. Di colpo il marinaio-scrittore si trova rovesciato dentro il biancore levigato e sporco di una borghesia novecentesca. Il divenire uno scrittore di successo, fa perdere di vista la ragione dalle parole. L’incontro con Russ Brissenden, intellettuale disilluso, interpretato magistralmente dall’arte teatrale di Carlo Cecchi rappresenta un altro graffio nel cambiamento nella vita di Martin Eden. L’individualismo anarchico del ragazzotto Martin oramai è mutato nelle vesti di un borghese servito, strafottente e caparbio. Pietro Marcello ci consegna una pellicola che scalfisce, coinvolgendo lo spettatore dentro un mosaico storico di immagini montante (grazie a Aline Hervé e Fabrizio Federico) capaci di mescolare spazio e tempo con tutte le sue contraddizioni e rivoluzione sociali, politiche ed emotive. Martin Eden nasce dal mare e ritorna nel mare. Il rumore delle onde è l’urlo disperato del fallimento del successo individuale, e lo spettatore se lo porta dietro (e dentro) fino ai titoli di coda. Con la sceneggiatura di Maurizio Barucci, la fotografia di Alessandro Abate e Francesco Di Giacomo, le musiche di Marco Messina e  Sacha Ricci e la scenografia di Luca Servino, Martin Eden esplode dentro ad una narrazione conflittuale interiore ed esteriore, il corpo del marinaio sporco si riveste e si lucida. Le poche parole malconce del marinaio Martin si adornano, si cuciono, elucubrando nuovi pensieri, ma sfuggendo però alla memoria, da ciò che un tempo fu, quel bambino appiccicato al rumore del mare e all’odore del proletariato,  mentre ora gli appartiene l’uomo di un mondo ovattato e borghese. Il marinaio si fa scrittore perdendo però la poesia del mare e cucendo su stesso un individualismo corporeo, fatiscente e ancora opaco.

Martin Eden

Martin Eden è smarrito dalla propria innocenza e ora colpevole, non di aver studiato ed imparato, ma di aver usato la propria istruzione da autodidatta verso un baratro senza ritorno, consumandone solo la conquista del successo e dimenticandosi degli insuccessi. Luca Marinelli dal cattivo Zingaro in Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti, 2015) si trasforma radicalmente nel turbato Martin Eden marinaio impavido ed egoista scrittore. La sfida di Pietro Marcello è coraggiosa, tratto liberamente dal romanzo omonimo di Jack London ci dona un racconto di formazione autodidatta dove la cultura da strumento di emancipazione diviene strumento di smarrimento e dove l’arte perde la sua aura. Il regista campano lavora con accuratezza alla memoria consultato magistralmente il repertorio della Storia, tra rabbia anticapitalismo e ideologia conformista. Pietro Marcello trasforma la California del romanzo americano nel golfo di Napoli, l’assenza e le avversità divengono gli ingredienti su cui Martin Eden vive fino a quando conquista lo spazio borghese, e i suoi scritti da poco apprezzati divengono manuali di pensiero, ma ciò che cambia davvero non sono le sue parole, ma i tempi che fanno delle parole il sintomo della società, lo sguardo diverso sul mondo. Martin si presenta ostinato, individualista, innamorato più di se stesso che di Elena, ma tra la sua bellezza “maledetta” si nasconde una fallimentare ricerca senza senso e la sua fragilità. Martin del mare ha perso il suo rumore e nel rumore rientra umanamente e disperatamente, sprofondando nel suo urlo silenzioso e disumano.

Dopo la Coppa Volpi come Miglior attore protagonista, Luca Marinelli ha ringraziato con queste parole «Ho questo premio tra le mani anche grazie a un uomo di nome Jack London che ha creato questo personaggio meraviglioso, un marinaio che cercava la verità – ha detto l’attore nel discorso di ringraziamento -. Per questo vorrei dedicare questo premio a tutte le persone splendide che sono in mare a salvare altri esseri umani che fuggono da situazioni inimmaginabili. E grazie anche per evitarci di fare una figura pessima con noi stessi e con il prossimo. Viva l’umanità e viva l’amore». Poi è arrivato anche il Platform Prize di Toronto.

copertina
Regia
Pietro Marcello
Genere
Drammatico
Anno
2019
Attori
Luca Marinelli - Jessica Cressy - Vincenzo Nemolato -
Durata
129 minuti
Paese
Italia
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diGiorgio Cipolletta

Artista e perfomer italiano, studioso di estetica dei nuovi media. Dopo una laurea in Editoria e comunicazione multimediale, nel 2012 ho conseguito un dottorato di ricerca in Teoria dell’Informazione e della Comunicazione. Attualmente sono professore a contratto per corso di Fotografia e nuove tecnologie visuali presso Unimc. La mia prima pubblicazione è una raccolta di poesie “L’ombra che resta dietro di noi”, per la quale ho ricevuto diversi riconoscimenti in Italia. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo saggio Passages metrocorporei. Il corpo-dispositivo per un’estetica della transizione, eum, Macerata. Attualmente sono vicepresidente di CrASh e collaboro con diverse testate editoriali italiane e straniere. Amo leggere, cucinare e viaggiare in modo “indisiciplinato” e sempre alla ricerca del dono dell'ubiquità.