Foo Fighters pigliatutto: l’ascesa di Dave Grohl in 5 mosse

Con i biglietti per il concerto dei Foo Fighters al Carisport di Cesena esauriti in 4 minuti, Dave Grohl ha confermato di essere nel suo periodo di grazia. Ultimamente qualsiasi cosa Dave faccia si trasforma in un titolo nella home dei principali siti di musica. Ci mette del suo, ovviamente. Per esempio: deve incidere un disco nuovo? Sceglie otto studi diversi in altrettante città, uno per canzone. Si rompe una gamba? Sale sul palco su un trono di chitarre e duetta con il suo ortopedico.

Difficile dire dove finiscano l’estro, la voglia di divertirsi (se non la purezza) e il marketing. Fatto sta che Grohl ora è sulla cima del mondo, e pur non essendo un genio, riesce a non dispiacere anche a quelli che dal rock si aspettano qualcosa di più che un’esibizione di muscoli.

Con il suicidio di Kurt Cobain e la fine dei Nirvana, ci si aspettava che Grohl semplicemente diventasse il batterista di qualcun altro. E invece: “Ho pensato che avrei preferito fare quello che nessuno si aspettava che facessi. Mi piace scrivere musica e mi piace cercare di cantare, e non c’è niente che chiunque può realmente fare per scoraggiarmi”.

Dal primo, timido tentativo, Foo Fighters (lo incise da solo, in anonimato) alla grandeur di Sonic highways (che è diventato anche una serie tv HBO), di acqua sotto i ponti ne è passata. Ripercorriamo quindi alcune fasi della carriera di Grohl che hanno rappresentato altrettante tappe di avvicinamento al ruolo, implicitamente riconosciutogli da molti, oggi, di nuovo “Messia del rock’n’roll”.

Il suicidio di Kurt Cobain

Brutto da dire, ma la storia di Dave Grohl e dei Foo Fighters comincia da qui. Piccolo passo indietro: prima di suonare nei Nirvana, Grohl militava negli Scream, una band hardcore di Bailey’s Crossroads, Virginia. Si era presentato alle audizioni in sostituzione del batterista Kent Stax e aveva mentito sulla sua età, attribuendosi 20 anni invece di 17 (temeva che altrimenti non sarebbe stato preso in considerazione). Quando gli Scream gli comunicarono che era dei loro, Grohl quasi non ci credeva. La band si sciolse nel 1990, ma Dave non dovette stare troppo in panchina: Buzz Osborne dei Melvins lo avvertì che una coppia di suoi amici, Kurt Cobain e Krist Novoselic, aveva bisogno di un batterista. Detto, fatto: Grohl entrò a far parte dei Nirvana.

Durante la sua permanenza nella band, Grohl si guardò bene dal mostrare pubblicamente la sua inclinazione al songwriting. Nonostante anche in quegli anni scrivesse canzoni, ne tenne segreta la maggior parte: era intimidito dal talento di Cobain e non voleva interferire con il suo processo creativo. Tuttavia trovava limitante il solo ruolo di batterista: per dar sfogo alla propria vena creativa, pubblicò nel 1992, con lo pseudonimo Late!, la cassetta Pocketwatch. Al suo interno, quella Marigold che sarebbe stata usata due anni dopo come b-side di Heart shaped box, unico brano non scritto da Cobain ad essere pubblicato dai Nirvana.

Con il suicidio di Kurt Cobain, Grohl si trovò ad affrontare finalmente il bivio: diventare l’ennesimo batterista di lusso (magari per i Pearl Jam, come volevano i rumors, o per Tom Petty & The Heartbrakers, con cui era effettivamente in trattativa) o tentare la carta solista? Grohl scelse la seconda, ma con un po’ di (naturale) timidezza. Nell’ottobre del 1994 entrò nei Robert Lang Studios e registrò 15 canzoni scritte di suo pugno. Incise tutti gli strumenti (con la sola eccezione di una parte di chitarra in X-static, curata da Greg Dulli degli Afghan Whigs) e le parti vocali. Le cassette delle session furono recapitate agli amici per un feedback, ma iniziarono a girare anche ai piani alti dell’industria musicale. Grohl allora dovette darsi un nome: scelse Foo Fighters, espressione con cui, durante la Seconda guerra mondiale si indicavano gli oggetti volanti non identificati. Dopo aver reclutato il chitarrista dei Germs,Pat Smear (che aveva già collaborato nell’ultimo periodo con i Nirvana), il bassista Nate Mendel e il batterista William Goldsmith, firmò un contratto con la Capitol Records. Foo fighters fu pubblicato per una nuova label del gruppo, la Roswell Records.

L’avventura di Grohl cominciò così, dunque, con un colpo di fucile che lo costrinse a scegliere tra il proprio talento di drummer e una più urgente vocazione alla scrittura. Chissà cosa sarebbe successo se i Nirvana fossero rimasti in piedi. Probabilmente i Foo Fighters sarebbero stati un side-project buono solo per riempire le pause tra un ciclo studio-disco-tour e l’altro.

Ad ogni modo, Grohl non ha mai avuto problemi con il proprio passato nei Nirvana e certo non ha mai rinnegato il suo ruolo di drummer. In tempi recenti, in occasione della storica introduzione della band nella Rock and Roll Hall Of Fame, ha anche trovato il tempo di far pace con la nemica di sempre, Courtney Love, s così il definitivo passaggio della sua esperienza umana e artistica alla fase adulta.

Everlong

Tutte le band hanno una canzone, quella che ne sancisce l’immortalità. I più fortunati anche più di una, ma quando nel tuo songbook hai un pezzo come Everlong, beh, molte band hanno costruito il proprio successo su molto meno, dunque bene lo stesso. Everlong è contenuta in The colour and the shape (1996), il disco della consacrazione dei Foo Fighters, e, malgrado l’esplosione rabbiosa del refrain, è una canzone d’amore. All’epoca, dopo la fine del matrimonio con la fotografa Jennifer Youngblood, Grohl era innamorato di Louise Post, cantante della band Veruca Salt, ed è a lei che il brano è dedicato.

Everlong è semplice, evocativa, potente, secondo lo stile classico dei Foo Fighters. Anche il video agevolò il successo del pezzo (all’epoca i video contavano, eccome). Diretta da Michel Gondry, la clip è surreale e ironica, con Dave Grohl che, tra sogno e realtà, difende la compagna (impersonata dal nuovo batterista, Taylor Hawkins) dagli assalti di Pat Smear e Nate Mendel.

Il successo di Everlong e, soprattutto, il suo status di classico, sono testimoniati da due fatti. Primo, Bob Dylan, durante un tour insieme, chiese a Grohl di insegnargli a suonare la canzone (scusate se è poco). Secondo, l’amore di Dave Letterman per questo pezzo. Il re dei comici USA ha affermato che Everlong è il suo brano preferito, la colonna sonora della convalescenza da un delicato intervento al cuore, subito nel 2000. I Foo Fighters hanno eseguito il pezzo negli studi del Late show il 21 febbraio 2000, per festeggiare il ritorno in scena di Letterman, e, successivamente, il 20 maggio 2015, in occasione del ritiro del comico.

Josh Homme

Nel 2002, i Queens of the Stone Age erano senza batterista (Gene Trautmann aveva lasciato per dedicarsi ad altri progetti). Per le session di Songs for the deaf Josh Homme chiamò allora l’amico Dave Grohl. La combinazione tra lo stoner rock della band di Palm Desert, California, e il drumming di ascendenza hardcore dell’ex Nirvana è fenomenale: ascoltare Go with the flow, Six shooter e, ovviamente, No one knows.

Più in avanti Homme ricambiò il favore suonando la chitarra in Razor, su In your honor (2005), ma è con il progetto Them Crooked Vultures che i due alzanrono l’asticella, coinvolgendo anche John Paul Jones, bassista dei Led Zeppelin. Pubblicato nel 2009, il disco è un bel concentrato di hard rock, blues e psichedelia, in perfetto stile supergruppo anni ’70.

L’ultima (per ora) reunion di Grohl con Homme ha riguardato anche Trent Reznor ed è avvenuta per la colonna sonora di Sound city, il primo documentario di Grohl. I tre si sono ritrovati anche sul palco dei Grammy il 21 gennaio 2014, assieme a Lindsey Buckingham dei Fleetwood Mac.

I documentari: Sound city e Sonic highways

Dave Grohl regista. Chi l’avrebbe mai detto? Per il suo esordio dietro la macchina da presa, il frontman dei Foo Fighters ha scelto un soggetto carico di storia, anche autobiografica. Sound city racconta infatti i Sound City Studios di Van Nuys, Los Angeles, in cui i Nirvana registrarono, nel 1991, Nevermind. Non solo: hanno inciso lì anche Kyuss, Red Hot Chili Peppers, Fleetwood Mac, Neil Young, Rick Springfield, Tom Petty, Rage Against The Machine, Slipknot e tanti altri.

Attraverso testimonianze e interviste a grandi artisti, Sound city ricostruisce quindi la storia dello studio dal 1969 al 2011, anno della sua chiusura. Il documentario racconta anche di come Grohl abbia acquistato il mixer Neve 8028, l’asso nella manica dei Sound City, e il progetto della jam session collettiva, che ha portato alla realizzazione della colonna sonora del film. Qualche nome coinvolto? Paul McCartney, Josh Homme, Trent Reznor, Pat Smear, Krist Novoselic e Corey Taylor.

Pur con qualche ingenuità, Sound city è un buon lavoro. Grohl, fedele alla sua nuova vocazione e alla passione per gli studi di registrazione, ha concesso il bis con Sonic highways. Concepita come una serie di 8 mini-documentari trasmessa da HBO, Sonic highways racconta altrettanti studi di registrazione in cui i Foo Fighters hanno inciso i pezzi dell’ultimo disco. Ogni studio è in una città diversa: Austin, Chicago, Los Angeles, Nashville, New Orleans, New York, Seattle e Washington. Ecco quindi che il viaggio per la realizzazione di Sonic highways (l’album) si trasforma in un viaggio nella storia della musica – pop, rock, country, funk, jazz.

Le interviste agli artisti locali (Dolly Parton, Ian MacKaye, Billy Gibbons, Allen Toussaint ed altri) si mescolano a ricordi personali (ancora i Nirvana) e a riflessioni sul futuro della musica. Anche stavolta la confezione è ottima. L’album omonimo è ancora più ambizioso, a testimonianza di una vitalità creativa sorprendente.

Rockin’1000

Se 1000 musicisti si riuniscono in un posto per suonare insieme un tuo pezzo, nel tentativo di convincerti ad esibirti nella loro zona, allora vuol dire che sei davvero arrivato. E’ successo a Cesena, come saprete, lo scorso luglio.

Il progetto, ribattezzato Rockin’1000, ha portato 1000 tra chitarristi, bassisti, batteristi, cantanti intonare all’unisono Learn to fly. Ideatore del progetto, Fabio Zaffagnini, il primo ad essere sorpreso della sua riuscita. Non è stato semplice: c’è voluto oltre un anno di lavoro e 50mila euro raccolti con il crowdfunding. Alla fine, però, i Foo Fighters sono rimasti colpiti e hanno accettato di suonare a Cesena, al Carisport. Con grande gioia dei fan: i 4000 biglietti messi in vendita ieri sono andati esauriti in 4 minuti.

Non è la prima volta che i Foo Fighters sono oggetto di mobilitazioni dal basso. L’anno scorso avevano organizzato un concerto a Richmond, Virginia, dopo che un fan, Andrew Goldin, desideroso di riportare il gruppo in città (mancava dal 1998), aveva raccolto in poco tempo 70mila dollari. La ricetta è in parte la stessa adoperata dai Rockin’1000: crowdfounding più crowdsourcing. Per l’occasione, Grohl aveva affermato: “Ve lo dico io, questo potrebbe diventare il modo in cui le band decidono dove suonare. È una cosa divertente, un cambio delle regole del gioco. Negli scorsi vent’anni abbiamo sempre deciso noi con chi suonare e dove. Ora, se sentiamo che le persone ci vogliono in un certo posto, probabilmente ci andremo”.

Bravi i Rockin’1000 che hanno preso la palla al balzo (ispirati, sembra, anche da School of rock). E bravo Grohl che, senza la spocchia del divo o la fregola sguaiata di chi è sempre pronto a vendersi, s’è prestato al gioco. Un altro piccolo tassello nel percorso di santificazione dell’ex batterista punk che ha scoperto il gusto di essere adulto.

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