Pink Floyd: “The Zabriskie Point lost album”

Zabriskie Point è uno dei film più controversi di Michelangelo Antonioni. Girato nel 1969 nell’assolata e spettrale Death Valley, il film racconta l’odissea personale e culturale di due giovani. La trama è semplice – troppo, secondo i detrattori: Mark partecipa ad una riunione studentesca, ci scappa il morto e ruba un aereo per sfuggire alla polizia. Con lui, nel mezzo del deserto, Daria, segretaria-amante di un importante dirigente d’azienda, in fuga da un mondo patinato e fasullo. Mark muore nel tentativo di restituire l’aereo, e Daria vendica la sua fine (e, metaforicamente, il disagio di un’intera generazione) facendo “esplodere” (nella sua testa) la villa del ricco amante.

«Il film di un provinciale che punta al grandioso» (Morandini), «un nobile impulso artistico cortocircuitato in una terra straniera» (Vincent Canby, sul New York Times), oppure «un “poema” sull’America» (Lino Micciché)? Accantoniamo per un attimo il giudizio sul film (il nostro Michele Bellantuono ne parla qui) e concentriamoci su un aspetto tutt’altro che secondario: la colonna sonora.

zabriskie point album cover

Uscita il 9 febbraio del 1970, la soundtrack di Zabriskie Point contiene brani di Jerry Garcia dei Grateful Dead, Kaleidoscope, The Youngbloods, Patti Page, Roscoe Holcomb, John Fahey. Per ragioni di diritti d’autore, dalla tracklist mancano due pezzi: You got the silver dei Rolling Stones e So young di Roy Orbison, che accompagnava l’uscita di scena di Daria dopo l’esplosione (il pezzo fu inserito all’ultimo momento su forte pressione della casa di produzione, la MGM, che voleva un artista della sua scuderia). In compenso però ci sono tre brani di quello che è forse il gruppo psichedelico per eccellenza: i Pink Floyd. Le tracce sono Heart beat, pig meat, Crumbling land e Come in #51, your time is up (quest’ultima un remake di Careful with that axe, Eugene, montata sulla celebre sequenza dell’esplosione). In effetti, il contributo dei Pink Floyd doveva essere più massiccio: la band inglese doveva realizzare l’intera colonna sonora. Senonché, alla fine Antonioni scartò molto del materiale prodotto da Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright e Nick Mason.

Le cose andarono così. Nel 1969, terminate le riprese del film, Antonioni era alla ricerca dei brani per la soundtrack. Il regista ferrarese rimase molto compito da un dj americano, Don Hall, che conduceva una trasmissione su KPPC FM Pasadena, una delle emittenti radio californiane più seguite dai giovani. Piccola parentesi: Antonioni nel ’69 aveva già 57 anni, ma era una persona estremamente attenta ai cambiamenti di costume, dunque non deve stupire che cercasse di intercettare i migliori rappresentati della controcultura dell’epoca. Il regista quindi contattò Hall, lo invitò ad una proiezione del film e gli chiese di indicargli dei brani che, a suo giudizio, potessero funzionare come colonna sonora di Zabriskie Point.

Hall fornì ad Antonioni una lista di pezzi (per lo più canzoni che suoanva nella sua trasmissione): fu quindi ingaggiato come consulente musicale di Zabriskie Point e invitato a Roma. Tuttavia Antonioni voleva che alcune sequenze (l’inizio e l’esplosione finale, per esempio) fossero accompagnate da musica originale. L’idea di contattare i Pink Floyd venne quando Clare Peploe, all’epoca compagna del regista e co-sceneggiatrice del film, portò a Roma una copia dell’ultimo disco dei Pink Floyd, Ummagumma. Antonioni lo apprezzò molto; in special modo, apprezzò Careful with that axe, Eugene, e Hall lanciò l’idea di una nuova versione del pezzo come commento sonoro della sequenza dell’esplosione. Fra l’altro, le strade di Antonioni e dei Pink Floyd si erano già intrecciate una volta: nel 1966, durante una scatenata notte londinese, il cineasta e la sua fidanzata di allora, Monica Vitti, avevano assistito ad un concerto della band alla Roundhouse. Tramite la MGM, fu organizzato un incontro con i Pink Floyd e il manager dell’epoca, Steve O’Rourke, il 16 novembre 1969. I Pink Floyd visionarono più volte il film. Alcune delle sequenze avevano già una colonna sonora, ma Roger Waters chiese di scrivere le partiture per tutta la pellicola. Antonioni accettò.


L’entusiasmo che il regista aveva provato per Ummagumma si stemperò progressivamente. Le registrazioni durarono troppo a lungo. La band produsse molta musica, registrando, come da abitudine, ogni più piccolo frammento sonoro, mentre forse Antonioni (abituato a mantenere uno strettissimo controllo anche sulla produzione della musica per i suoi film) si aspettava delle idee più compiute, definite. Terminate le session a Roma, la band si trasferì a Londra per completare il lavoro: nel frattempo, però, Antonioni cominciò a guardarsi intorno per cercare “qualcosa di meglio”. Andò a finire che degli otto pezzi incisi dai Pink Floyd per Zabriskie Point ne furono adoperati solo tre. Tra quelli scartati (che i fan hanno ribattezzato The Zabriskie Point lost album) anche un tema di pianoforte, scritto da Richard Wright per accompagnare lo scontro tra manifestanti e polizia (The violent sequence: in seguito fu riutilizzato come base per Us and them) .

La genesi della colonna sonora di Zabriskie Point fu, in generale, complessa. Antonioni contattò (senza troppa convinzione) anche i Rolling Stones: Mick Jagger e Keith Richards avrebbero voluto comporre l’intera soundtrack, ma le richieste troppo onerose del management fecero tramontare l’ipotesi. Alla fine fu inclusa la sola You got the silver, uno dei brani suggeriti da Hall nella sua lista. Anche con i Doors non ci fu troppo feeling. Antonioni li raggiunse in studio nel 1968: Jim Morrison fece ascoltare al regista L’America (brano poi inserito in L.A. Woman, 1971), ma Antonioni non ne fu colpito. Leggendaria, poi, la rissa tra il maestro e John Fahey: durante un incontro in un ristorante di Roma, Antonioni e il musicista se le diedero di santa ragione a causa delle differenti vedute politiche (Antonioni era comunista, Fahey decisamente no). Del geniale chitarrista del Maryland possiamo ascoltare nel film solo un frammento di Dance of death.

immagine via neuramagazine.com

Nonostante le pressioni, i ripensamenti, gli errori, Antonioni riuscì comunque a raggiungere il suo obiettivo: realizzare un film senza pretese sociologiche ma con un alto «un valore etico e poetico». E questo anche grazie alla sapiente commistione di immagini e musica, che ha i suoi picchi nella sequenza d’amore nel deserto (accompagnata da Love scene di Jerry Garcia) e in quella conclusiva, un immortale caleidoscopio sulle note di Come in #51, your time is up.

Sicuramente, se i Pink Floyd avessero firmato l’intera soundtrack avremmo avuto un film diverso. Impossibile dire quale, di preciso: provateci voi ad immaginarlo ascoltando, tramite il player qui sotto, tutte le tracce di The Zabriskie Point lost album, pubblicate in questi anni in vari bootleg, nella riedizione della colonna sonora del 1997 e nella raccolta A total Zabriskie Point of view.

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