I 10 capolavori progressive rock della scena di Canterbury

Nei giorni scorsi è arrivata una brutta notizia: la scomparsa di Daevid Allen, genio del progressive rock, fondatore di Soft Machine e Gong, due band cardine della “scuola di Canterbury”. La scena ebbe il suo apice tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni ’70, grazie all’attività di un pugno di musicisti e amici, affascinati dalle complesse armonie del jazz, dall’avanguardia e dalla psichedelia più visionaria.

Uno dei nuclei fondamentali della scuola di Canterbury furono i Wilde Flowers: tra il 1964 e il 1967, nella band militarono Daevid Allen, Robert Wyatt, Kevin Ayers, Mike Ratledge, Hugh e Brian Hopper e David Sinclair, tutti nomi di punta della scena. I Flowers non produssero alcun disco, ma spalancarono la strada a Soft Machine, Gong, Caravan e tanti altri.

In questo speciale, ci occuperemo dei dieci dischi fondamentali del genere. Ad ascoltarli oggi, la sorpresa è che, con qualche rara eccezione, suonano ancora grandiosi. In primis quelli del maestro Daevid Allen, che con la straordinaria epopea di Zero the Hero (vedi sotto) ha segnato un passaggio indimenticabile nella storia del rock visionario.

Soft Machine – Third (1970)

La macchina morbida è il titolo di un romanzo di William Burroughs (1961), una delle grandi passioni letterarie di Daevid Allen (che aveva alle spalle un passato di poeta Beat). Allen rimase pochissimo nei Soft Machine, il tempo di un 45 giri (Love makes sweet music) e una manciata di demo. Bloccato in Francia dopo un tour per aver abusato dei termini di un visto di soggiorno, lasciò campo libero a Wyatt e Ratledge, che cesellarono un terzo album memorabile. Third (1970) è composto da quattro lunghe suite strumentali, che fondono alla perfezione psichedelia, jazz-rock e minimalismo in un flusso di note poetico e trascendente.


Gong – Flying Teapot (Virgin, 1973)

I Gong sono il prodotto del genio fiabesco e stralunato di Allen. Il frutto migliore della band è senza dubbio la trilogia Flying TeapotAngel’s eggYou. Al centro, una serie di strampalate avventure cosmiche tra fiaba, surrealtà e spiritualità con protagonista Zero the Hero, alter ego di Allen. Flying teapot, in particolare, è il disco che consacra i Gong dopo l’ottimo Camembert electrique (1971) e proietta la musica della formazione, un concentrato “zappiano” di jazz e rock, ai vertici della scena britannica.

Kevin Ayers – Shooting at the Moon (1970)

Languore, dandysmo, esotismo, humor: la psichedelia di Kevin Ayers è un concentrato di umori, perfettamente bilanciati in canzoni di tre-quattro minuti. Dopo l’uscita dai Soft Machine (ci rimase il tempo di un disco, il primo), Ayers realizzò Joyofatoy e, soprattutto, Shooting at the moon, il suo capolavoro. “La banana è il simbolo della mia musica: fiera e dignitosa, diventa ridicola se la sbucci”: così amava dire. Shooting at the moon è la sintesi memorabile di questa commistione tra “alto” e “basso”, ben esemplificata da Rheinhardt & Geraldine/Colores para delores.

Robert Wyatt – Rock bottom (1974)

Se c’è un nome simbolo della scuola di Canterbury, quello è sicuramente Robert Wyatt. Questo tanto per il lavoro con i Soft Machine che per la carriera solista. Rock bottom (1974) rimane un esempio insuperato della sua arte. Inciso con un pugno di grandi musicisti (tra cui altri due eroi di Canterbury: Mike Oldfield e Fred Frith) il disco è la summa della visione spirituale di Wyatt, un flusso di coscienza che mescola jazz, rock ed elettronica in un malinconico inno ai misteri del cosmo.

Mike Oldifield – Tubular bells (1973)

Tubular bells è un disco leggendario. Mike Oldfield lo pubblicò a soli 22 anni (fu il suo debutto); fu anche il primo disco della Virgin, e nella sola Inghilterra vendette oltre 2 milioni e mezzo di copie. Altra particolarità, la strabiliante tecnica di Oldfield, che da solo incise oltre 20 strumenti, assemblando le take in studio. Il risultato furono due lunghe suite che fissarono un nuovo standard della musica strumentale, anche grazie all’uso di alcuni frammenti nella soundtrack de L’esorcista.


Henry Cow – Unrest (1974)

Gli Henry Cow furono senza dubbio una delle band più originali della scena di Canterbury. Con il suo secondo album, Unrest, la formazione di Tim Hodgkinson e Fred Frith pose l’accento sull’improvvisazione: oltre metà disco si basa su jam spontanee, nobilitate proprio dal chitarrismo “caotico” di Frith, tra i più interessanti strumentisti dell’epoca. All’album partecipò anche Mike Oldfield, come tecnico del suono per alcuni momenti della suite Ruins, contenuta nel lato A del disco.

Caravan – In the land of grey and pink (1971)

L’estetica del rock progressivo di Canterbury è incarnata alla perfezione dal sound dei Caravan. La formazione di Pye Hastings, David e Richard Sinclair (quest’ultimo ex Wilde Flowers) e Richard Coughlan, pubblicò nel 1971 il suo capolavoro, In the land of grey and pink: un mix barocco di jazz e rock, contraddistinto da un tono fiabesco e da un’impressionante perizia tecnica.

Lol Coxhill – Ear of the beholder (1970)

“Ok well I’m Lol Coxhill, this is my first record I have made under my own name”: inizia così Ear of the beholder, con un’introduzione parlata in cui Lol Coxhill sembra quasi schermirsi. Coxhill (1932) era un veterano della scena della scena jazz-rock, anche membro della band di Kevin Ayers. Con Ear of the beholder, il sassofonista si distanza dal progressive in senso stretto: la musica di Charlie Parker viene assorbita in partiture surreali, cacofoniche, a metà tra folklore e parodia. Un disco sottovalutato e indimenticabile.

Matching Mole – Little red record (1972)

I Matching Mole sono un’altra sorprendente incarnazione di Robert Wyatt. Produssero due soli album, l’omonimo debutto e Little red record (entrambi del 1972), e sebbene il loro impatto non sia paragonabile a quello dei Soft Machine, gli spunti interessanti non mancano. In Little red record (prodotto da Robert Fripp e suonato anche da Brian Eno) la tessitura musicale fusion (elaborata da tutta la band, in ossequio a un principio democratico che negli ultimi Soft Machine mancava) è impreziosita dallo straordinario uso della voce di Wyatt. Il disco, inoltre, testimonia anche il crescente impegno politico del musicista: Little red record (“dischetto rosso”) è un omaggio al Libretto rosso di Mao, citato anche in copertina.


Camel – Mirage (1974)

Pubblicato nel 1974, Mirage è probabilmente il disco più celebre dei Camel. La formula proposta dalla band è quella classica di Canterbury: un mix di rock e jazz di stampo barocco e romantico, dominato dal flauto di Andrew Latimer. Sofisticato e un po’ leggero, il progressive dei Camel oggi suona più datato di quello dei colleghi, ma pezzi come Supertwister conservano un discreto appeal e rimangono comunque capaci di fare breccia nel cuore degli appassionati.

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