Mark Knopfler l’ha sempre detto: “Mi immagino il paradiso come un posto dove la musica folk si incontra con quella blues”. Tutta la sua carriera solista, lontana anni luce dai fasti dei Dire Straits, è stata un tentativo di ricreare quel paradiso in Terra: non da ultimo Tracker, ottavo disco di studio.
Dodici le tracce (sei in più nell’edizione bonus) in cui il buon Mark mescola con disinvoltura musica celtica, blues, country, rock. Arrangiamenti curati, suoni acustici ed elettrici, una voce baritonale da storyteller, testi imbevuti di riferimenti letterari: un fan ha di che sbizzarrirsi. Gli altri, invece, si annoieranno. Perché nel 2015, con Spotify, gli smartphone, il multitasking, la velocità, i sei minuti e diciassette di River towns, con il suo pattern minimal e la chiusura di sassofono, rischiano di essere, più che un semplice anacronismo, l’occasione per una maratona di sbadigli.
Peccato. Magari è un po’ appannato, ma Knopfler resta comunque un signor musicista. Laughs and jokes and drinks and smokes lo dimostra con un arrangiamento che mescola jazz, Bob Dylan (il grande amore di una vita) e fiddle irlandesi. Anche quando l’introspezione è lì lì dallo sconfinare nella noia, come in Mighty man, gli intrecci di chitarra (slide, elettrica, acustica), piano, fisarmoniche e quant’altro posseggono un che di incantato, una perizia d’artigiano che ha il fascino di certi tramonti.
In Tracker non mancano i passaggi più vivaci: in primis Beryl, che ammicca in maniera spudorata ai Dire Straits (il testo omaggia la scrittrice Beryl Beinbridge). Ci sono poi Broken bones, la storia di un becchino solitario raccontata con lo stile di J.J. Cale, e la beatlesiana Skydiver. Hot dog è uno stomp che ricicla qualche idea da Wag the dog e occhieggia a Money for nothing: per emozionare le basta che Mark accenni ad un assolo, con quel suo fraseggio bluesy inconfondibile.
Il punto però è che Knopfler è più interessato a pezzi come Basil (il giornalista e poeta Basil Bunting, che Mark conobbe mentre faceva il copy boy per l’Evening Chronicle), Lights of Taormina (scritta durante il tour con Dylan) o Wherever I go (con Ruth Moody): ballad lente, malinconiche, intrise di ricordi, in cui, se ascolti con attenzione, puoi quasi sentire il tocco delle dita sulle corde, vedere la polvere che si solleva sui tasti del piano. Niente a che vedere, insomma, con il clic del mouse che sentite quando skippate da una traccia all’altra.