Boosta contro i talent show

Boosta dei Subsonica non è decisamente un fan dei talent show. Ci ha tenuto a spiegarlo sabato scorso al Festival della Tv e dei nuovi media di Dogliani (CN).

«Rispetto a vent’anni fa – ha spiegato il musicista – mi pare che oggi le possibilità di farsi ascoltare siano diminuite molto. E che i talent show, uno dei pochi canali rimasti aperti, tendano ad attrarre soprattutto chi pensa alla musica come a un modo per finire in televisione. La realtà, invece, è che degli ipotetici mille ragazzi che sono passati di lì, pochissimi continuano realmente a cantare. Gli altri sono stati masticati, digeriti e quasi sempre espulsi. Sono diventati il bolo per l’appetito vorace della macchina televisiva». Boosta ha rivelato di ricevere ogni anno proposte di partecipazione a vari talent, ma di averle sempre rifiutate.

Con il musicista, all’incontro ha partecipato anche Danny Stucchi, direttore di Radio Capital, che da un paio di anni organizza un talent radiofonico per cantanti, CapiTalent. «Il bilancio di quest’esperienza – racconta Stucchi – per quanto mi riguarda è molto positivo. Sono arrivate migliaia di candidature, divise più o meno a metà tra autori e interpreti, e il livello medio è alto, con molte buone idee e provini suonati benissimo. Noto una diffusa tendenza a restringere i gruppi, spesso i ragazzi si presentano in duo o in trio, in formazioni anche atipiche, con violoncelli e altri strumenti che mi fanno pensare a concerti acustici per piccoli locali. Ci si industria insomma per sopravvivere e tenere in piedi il proprio sogno».

Nel corso della chiacchierata, Boosta (al secolo Davide Dileo) ha anche parlato delle origini dei Subsonica, che nei prossimi mesi torneranno con un nuovo album. «Quando sono nati i Subsonica ho dovuto scegliere tra il gruppo e un ingaggio a suonare su una nave, che tra l’altro mi pareva già un bel successo. Ho scelto la band e il grande piacere di quegli anni è stato vedere crescere il nostro pubblico. Nei primi 14 mesi abbiamo fatto circa 250 concerti ed è capitato di suonare davanti a due persone, di tornare nella stessa città e trovarne 200, poi magari duemila a volte anche ventimila. Oggi un percorso simile sembra quasi impossibile».

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