Con Se ti abbraccio non aver paura, Fulvio Ervas ci racconta una storia vera. Franco Antonello e suo figlio Andrea viaggiano attraverso gli Stati Uniti e l’America Latina nell’estate del 2010, alla ricerca della libertà e della serenità: ad Andrea, infatti, è stata diagnosticata la sindrome dell’autismo dall’età di tre anni. Così, Franco ha deciso di raccontare la sua storia ad Ervas, e dopo un dialogo appassionato durato più di un anno, lo stesso Ervas ha deciso di trarne un romanzo, in cui la veridicità delle vicende narrate si mescola a qualche tocco di fantasia. Ervas narra le vicende attraverso gli occhi e la voce di Franco, intervallando i fatti ai dialoghi reali tra padre e figlio. Stile semplice ma efficace, belle descrizioni dei paesaggi e una trama non troppo complessa: amato da pubblico e critica, Se ti abbraccio non aver paura è stato descritto come un libro sull’autismo, ma a ben vedere questo non è affatto un libro sull’autismo.
Ervas crea in realtà un reportage vero e proprio, uno stile ibrido tra realtà e narrazione, un viaggio in cui i fatti sono intervallati dalle emozioni dei protagonisti, la storia di uomini e donne che vivono in terre lontane e che spesso diventa la colonna portante dell’intera struttura testuale. Racconti dal sud del mondo e dagli sconfinati spazi degli Stati Uniti, insomma – un po’ come leggere Luis Sepùlveda, con le sue terre di confine. In tutto questo, la storia di Franco e di Andrea ma resta decisamente sullo sfondo nelle 320 pagine. Forse si voleva ad addolcire la pillola per il lettore, ma serviva più coraggio, perché di certo così il libro non aiuta a dare una visione precisa e reale di ciò che veramente sia vivere e sopravvivere al fianco di una persona affetta da autismo. Bisognava andare oltre, senza far rimanere dolore e malattia nelle pieghe profonde del romanzo.
Si fa, poi, un gran parlare di libertà in questo libro, perché è proprio la libertà che padre e figlio cercano. A questa storia va dato il grande merito di regalare sogni e speranze, e forse per la prima volta di dare voce direttamente ad una persona autistica senza bisogno di filtri. Certo, un viaggio non può essere la soluzione per un ragazzo affetto da autismo, e forse le speranze che la storia ci regala vanno al di là del possibile, ma di sicuro rimane nel lettore una voglia di conoscere e, perché no, di partire. Si poteva e si doveva comunque lasciare più spazio ai sentimenti, sia del padre che del figlio, rispetto a tutto il resto.