Tra le opere di Giuseppe Verdi, la Messa da Requiem è sicuramente la meno “verdiana”, e quella che maggiormente si ricollega ad una tradizione europea di Messe da Requiem. Non serve qui ricordare il Requiem K 626, di W.A. Mozart, ma se si dovesse trovare un riferimento culturale e musicale per quest’opera, che è stata diretta il 29 luglio 2023, allo Sferisterio di Macerata, da Donato Renzetti ed eseguita dall’Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna (maestro del coro, Gea Garatti Ansini), si dovrebbe far riferimento ad un’altra grande opera, di un maestro classico del romanticismo, e cioè l’Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms, terminata solo qualche anno prima, nel 1868. Infatti i curatori del libretto di sala hanno pensato bene di titolare Un requiem italiano, con un riferimento non troppo velato.
Messa da Requiem allo Sferisterio
Tuttavia, com’è stato detto, forse quest’opera ha poco di italiano, se non fosse per l’occasione della sua scrittura, la commemorazione della morte di Alessandro Manzoni. Il testo in latino ha subito pochi rimaneggiamenti, e se non fosse per ripetizioni, la struttura segue grossomodo quella tradizionale del requiem.
Del tutto originale invece è la concezione dell’opera che è stata magistralmente esaltata dall’esecuzione del Maestro Renzetti. Verdi ha scelto per il suo requiem una concezione drammatica e lirica. L’uso quasi costante dei solisti, la spazialità della monumentale orchestrazione, i dialoghi interni tra le voci del coro e quelle dei solisti e gli “arieggiati” di questi ultimi, tutto riflette una concezione operistica che è tipica di Verdi.
Uno spettacolo di nicchia
Renzetti ha scelto una direzione energica, ma allo stesso tempo discreta e in alcune parti financo giocosa, che esalta forse l’elemento che più di ogni altro ci fa sentire la penna del compositore italiano: i contrasti. I contrasti tra il piano e il forte, tra il solo e il tutto, tra i pieni orchestrali e gli assoli.
Tutti bravi i solisti, tra i quali bisogna sottolineare l’espressività del tenore Antonio Poli, e la profondità tragica del basso Roberto Tagliavini.
Lo spettacolo è stato sicuramente di nicchia, una scelta che magari non ha pagato fino in fondo a livello di botteghino, ma che però ha regalato una rara esperienza musicale ai molti appassionati presenti in arena.
Foto: Quartararo
Articolo di Andrea Garbuglia