Anche questo è femminismo

Bossy e Tlon insieme: “Anche questo è femminismo”

È finalmente arrivato in libreria “Anche questo è femminismo”, l’ultimo libro della casa editrice Tlon, un lavoro collettivo a cura di Biancamaria Furci e Alessandra Vescio, con introduzione di Irene Facheris.

Scriviamo finalmente perché, per via dei tanti preordini, il libro è andato in ristampa già una settimana prima di essere fisicamente nei negozi, chiaro segno di interesse da parte di un pubblico sempre più informato e desideroso di saperne di più sui temi legati al femminismo. Il pre-successo del libro è dovuto anche al fatto che a scrivere questo saggio sono ben diciotto persone diverse, molto attive anche online e sui social, che qui vanno sotto il nome Bossy (“con la y”, come ripete Irene Facheris ad ogni occasione, anche se ormai non c’è più bisogno di specificarlo perché si tratta di una realtà nota e importante). Tra le pagine troverete infatti i contributi di Rachele Agostini, Francesca Anelli, Belle di faccia (Mara Mibelli e Chiara Meloni), Virginia Cafaro, Sara Colognesi, Marina Cuollo, Eugenia Fattori, Biancamaria Furci, Lorenzo Gasparrini, Benedetta Geddo, Jacklin Faye, Arianna Latini, Mc Nill, Attilio Palmieri, Marina Pierri, Sofia Righetti e Alessandra Vescio. 

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Perché Bossy e perché questo libro

Bossy è un’associazione no profit nata nel 2014 che si occupa di parità nel senso più ampio del termine: discriminazione e disuguaglianza, diritti LGBTQ+ e abbattimento degli stereotipi che pervadono la nostra società. Bossy è una realtà femminista intersezionale, si occupa cioè di persone indipendentemente dal loro genere, orientamento sessuale, etnia, credo o cultura di appartenenza e lo fa attraverso articoli, attivismo, incontri con scuole e aziende.

Nei quindici capitoli del libro troverete risposta ad alcune delle seguenti domande: cosa succede quando disabilità e genere si intrecciano? Perché combattere lo stigma del corpo grasso è una questione femminista? Ci sono ancora categorie escluse dalle rappresentazioni visive e cinematografiche? E qual è la portata dell’impatto di questa cancellazione della loro identità sulla nostra vita reale? Perché un approccio diverso alle questioni ambientali, che abbracci anche i temi sociali, economici e di genere, è oggi fondamentale? Esistono ancora pregiudizi e discriminazioni nel mondo sanitario? E in quello dello sport?

Il libro si apre con un capitolo dedicato all’abilismo e non è un caso: si parla poco e male di disabilità, il tema spesso è quasi invisibile, tanto che forse la stessa parola “abilismo” non è poi così nota a tutti. Nello specifico, «le donne disabili spesso non vengono considerate come “donne a tutti gli effetti”» e per questo qui leggerete di feminist disabilities studies.

Anche parlare di body positivity è una questione femminista, anzi spesso i corpi grassi devono ancora legittimarsi all’interno di ambienti femministi. Nel secondo capitolo si affrontano quindi nel dettaglio le questioni legate a lavoro, razzismo, classismo, mondo online.

Il femminismo intersezionale riflette e agisce anche sul razzismo (soprattutto in Italia, dove non abbiamo ancora fatto i conti con il colonialismo e dove non si parla di white privilege e altri concetti già sdoganati all’estero); sulla multiforme comunità LGBTQIA+, per dare voce anche alle istanze transfemministe e queer.

Femminista è anche l’indagine sul mondo delle serie tv e dei film ovvero sulla rappresentazione che si sceglie di dare della realtà: dati alla mano, laddove non c’è rappresentazione (o dove essa è appiattita su stereotipi patriarcali), significa anche che non vi è spazio per il problema o per la categoria sociale che non viene rappresentata. «Per decenni, Hollywood ci ha mostrato quasi esclusivamente amori eterosessuali, uomini determinati e affascinanti, donne coprotagoniste “salve” solo se adempivano al dovere di madri e mogli, persone BIPOC impiegate in lavori modesti con accenti marcati, salvatori bianchi, corpi rigorosamente conformi». Si parla infatti anche di #metoo (e di come reagisce Hollywood ripsetto all’Europa), di male gaze, di mettere in dubbio il canone perché parziale (male glance) e escludente/svilente tutto ciò che viene bollato come “al femminile” (molto interessante ciò che si afferma qui su Apocalypse Now e Lady Bird): «le opere di tutti non riguardano davvero tutte le persone».

Femminismo e classismo: da quanto tempo la politica mainstream non parla di classi sociali? Ciò che sembrerebbe anacronistico, in realtà è ancora più attuale nel mondo post Covid-19 ed è un problema che certamente riguarda chiunque lotti contro il sistema patriarcale e capitalistico, i miti tossici di successo e meritocrazia e il divario tra ricchi e poveri. Ciò si ricollega anche alla presunta flessibilità del lavoro, che molto spesso si riduce a mero sfruttamento, e alle morti sul lavoro, un lutto costante dovuto a una cultura del lavoro che antepone il profitto all’umano. Nella politica interna, il femminismo intersezionale si occupa di tutto ciò che viene definito come “cose inutili” o “ci sono cose più importanti per cui lottare”, vedi l’ostracismo al DDL Zan, allo ius solis, a tutto ciò che viene derubricato a “emergenza temporanea”, quando invece è un problema sistemico e di antiche origini. Problema che chi già gode di diversi diritti non ha alcuna intenzione di affrontare. Nella politica estera, come ad esempio negli Stati Uniti (presi ad esempio perché largamente rappresentativi di dinamiche che avvengono in tutto l’Occidente e su scala planetaria), il femminismo intersezionale studia sistemi di giustizia discriminatori, l’esclusione sistemica di alcune minoranze dalla società, i bias e le percezioni razzializzanti che i mass media contribuiscono a diffondere.

Si può guardare anche ai cambiamenti climatici con lenti femministe: ciò consente di portare alla luce oppressioni, contraddizioni, logiche di poteri e squilibri di un sistema che continua a mettere il profitto al centro, contro la sopravvivenza di vite umane e territori. Anche il tema della salute e della salute mentale rientra appieno in un discorso ad esempio transfemminista, poiché anche nel mondo sanitario esistono ancora troppi pregiudizi e di conseguenza troppe discriminazioni – l’esempio qui portato è soprattutto quello di Health at every size (HAES).

Anche occuparsi di sport e stereotipi è femminista: se lo sport veicola valori e diritti di una società (anzi, spesso è più incusivo delle società che rappresenta), è anche vero che l’affermazione fisica nelle gare sportive richiede una competizione il più possibile alla pari per fisici tutti diversi fra loro. Da qui, la sfida di creare condizioni eque per tutte le persone che praticano sport, laddove per secoli si è trattato perlopiù di una cosa “da maschi”, in cui il corpo virile potesse essere esaltato. Certo, molti passi in avanti sono stati compiuti ma ancora non basta, se si pensa ad esempio al gender pay gap (nello sport è ancora più marcato che in altri settori). A conclusione del libro, un saggio sulla maschilità tossica (che, sorpresa sorpresa, si ritorce anche contro i maschi stessi) e uno sullo xenofemminismo. Nel primo caso, ci si interroga sugli spazi e i luoghi che gli uomini non hanno ancora creato per discutere di ciò che è considerato “normale” in un maschio, sulle parole, sugli atteggiamenti  e molto altro: «è sempre una questione di potere, di affermarlo, esibirlo, abusarne. Quello patriarcale è un potere che si nutre della privazione dei diritti altrui». Nel secondo caso, si parla di xenofemminismo nato da un manifesto online che sfrutta la tecnologia per fornire uno strumento di esercizio al pensiero e alle complessità: il libro si conclude con l’idea che forse è in arrivo una quinta ondata femminista e che si tratterà appunto di fare un esercizio continuo sulla complessità, per non lasciare indietro nessuno.

Anche questo è femminismo – La recensione

 Anche questo è femminismo rientra fra gli ormai (per fortuna!) tanti libri creati in Italia anche per provare a riempire quel colpevole vuoto di informazione e di istruzione su tutte le tematiche relative alle varie forme di oppressione.

Il femminismo intersezionale è la casa di tutte quelle persone che vogliono provare a cambiare una società rotta, piena di storture e diseguaglianze.

Bossy ha dedicato al suo primo libro gli ultimi due anni di lavoro e davvero il contenuto di ogni pagina è frutto di grande passione, conoscenza approfondita dei temi affrontati ed esperienza.

Leggere Anche questo è femminismo significa aprirsi a tanti mondi, prendere in prestito altri sguardi, provare ad ascoltare altre voci che non siano solo quelle di un’unica narrazione. Leggere questo libro significa ri-conoscere pezzi importanti del passato, fare il punto sulle conquiste e le mancanze del presente, gettare dei semi per quello che sarà il nostro futuro.

copertina
Autore
Bossy
Casa editrice
Edizioni Tlon
Anno
2021
Genere
saggistica
Formato
Brossura
Pagine
238
ISBN
9788831498432
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diMarta Lilliù

Sono nata ad Ancona nel 1985 e sono cresciuta ad Osimo. Sono laureata in Lettere (Università degli Studi di Macerata) con una tesi in Storia Moderna sulle Suppliche del XVIII sec. dell’Archivio Storico di Osimo. Sono diplomata in Pianoforte e in Clavicembalo (Conservatorio “G.Rossini” di Pesaro).
Dal 2012 abito e lavoro in Liguria, dove ho approfondito l’ambito della didattica musicale (abilitandomi all’insegnamento del Pianoforte presso il Conservatorio “N.Paganini” di Genova) e della didattica speciale, cioè rivolta al Sostegno didattico ad alunni con disabilità (Università degli Studi di Genova). Ho vissuto a Chiavari e Genova. Attualmente vivo a Sestri Levante, dove annualmente si svolgono il Riviera International Film Festival e il Festival Andersen.
Sono docente di Pianoforte a tempo indeterminato a Levanto, Monterosso e Deiva Marina.
Abbandono talvolta la Liguria per muovermi tra le Marche e Londra, città in cui ricopro ufficialmente il ruolo di...zia!