Bernard Malamud – L’uomo di Kiev

Bernard Malamud (1914-1986), newyorkese, figlio di emigrati russi, esprime la sua poetica con chiarezza: «Storie, storie, storie: per me non esiste altro». La verità della storia è l’unico dovere dello scrittore, ciò che ne rende sacra la missione: essere cantore del destino tragico dell’uomo è vocazione irrinunciabile, rievocarne la dignità di vittima cosciente è compito di ogni opera letteraria. Archetipo, modello universale, è la Bibbia: le tribolazioni inflitte a Giobbe fanno di lui il paradigma di un’umanità votata al dolore dall’arbitrio di un Dio tiranno. Tanto è vero che figure come l’Edipo di Sofocle o il K. dei romanzi di Kafka ne sono una geniale variazione, parabole entrambi di una condanna senza che vi sia una colpa.

Ma il mondo descritto da Malamud ne L’uomo di Kiev non è lo spazio metafisico del mito greco né la vicenda narratavi ha molto in comune con le “ allegorie da cui è stata portata via la chiave interpretativa”  dell’autore de Il processo: i carnefici dei propri simili sono gli uomini e non un Dio/caso inconoscibile e lontano. Pertanto Giobbe nasce ogni giorno partorito dalla società e dalla Storia: le sventure di Jakob Bok, un tuttofare ebreo accusato ingiustamente dell’omicidio di un bambino, raccontate nel libro, pubblicato nel 1966 e premiato con il Pulitzer, sono accadute davvero nella Russia zarista del 1911 attraversata da scoppi di violenza antisemita. Un caso particolare, dunque, rapportabile a un preciso contesto.

Tuttavia la cronaca nell’algida secchezza di sintetici resoconti ha il fiato troppo corto per restituire il vissuto quotidiano delle vittime di un meccanismo stritolante perpetrato dai fanatismi: per dar voce al martirio di chi subisce deve intervenire l’empatia del narratore con gli attori degli eventi, scevra da sospetti sentimentalismi. La verità indubitabile dei fatti si amplifica cosi trasfigurandosi nella prospettiva soggettiva: a perseguitare Jakob non sono esseri umani razionali ma mostri grotteschi, un prete cialtrone, una prostituta complice dell’assassinio del figlio, giudici laidi e persino lo zar Nicola in sogno; il soggiorno nella prigione assume la fisionomia di una segregazione eterna in un palazzo degli orrori, dove l’eroe conserva appena un barlume di dignità nella coscienza della propria innocenza e nella solidarietà con i dannati di cui condivide la sorte, vivi o morti, come il filosofo Spinoza o lo stesso Cristo dei Vangeli. Le ultime pagine del libro prospettano la liberazione? Inutile chiederselo, ad Auschwitz le ombre non sono ancora mute.

ISBN
9788875215804
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