Fate una cosa. Prendete una foto dei tempi di Strange house, il debutto degli Horrors, e accostatela ad una del periodo Luminous, l’ultimo album. Due band diverse. Passo successivo: ascoltate i due dischi, e ditemi se non sembrano incisi, anche qui, da due formazioni distinte – una emula del garage anni ’60, quello più malato, “weird”, e l’altra figlia degli anni ’90 e del contatto ravvicinato tra rave culture e rock. Ovviamente, messa così è una forzatura: nel mezzo ci sono altri due album (Primary colors e Skying) che hanno gradualmente spostato l’asse dal sound brutale degli esordi ad uno più stratificato, studiato. Tuttavia, è evidente come gli Horrors siano i camaleonti per eccellenza della scena attuale, e anzi ne siano il prodotto più genuino – giacché parliamo di una non-scena, un coacervo di stili sovrapposti, perennemente in bilico tra citazione nostalgica e ricerca postmoderna.
Insomma, pregi e difetti per la band di Faris Badwan, individuabili anche in Luminous. Se in quest’ultima release è evidente la padronanza strumentale e di scrittura della band – vedi Jeaolus sun e Falling star, il cuore pulsante e visionario dell’album, più “luminoso” che in passato -, altrettanto forte è la sensazione che manchi davvero qualcosa, un pizzico di peperoncino. Sarà che Badwan è diventato un cantante piuttosto anonimo, sarà che l’interesse complessivo sembra più focalizzato sull’impressione generale, sulla visione d’insieme (l’arrangiamento, le intro e le code strumentali, gli effetti e le manipolazioni di synth e chitarre), che non sulle melodie, sulla sostanza dei brani. Per gli stessi motivi, paradossalmente Luminous ha comunque un fascino innegabile. Per esempio, Chasing shadows, strategicamente posta in apertura, è cinema puro: apre su un mix di droni visionari, fluttuazioni elettroniche e tribalismi il cui incanto si spezza (dopo ben tre minuti) con l’ingresso di una chitarra elettrica, a segnare una via di mezzo in effetti non scontata tra Chemical Brothers e Primal Scream.
First day of spring sa di Factory (Records, quella di Tony Wilson), di Happy Mondays, mentre I see you strizza l’occhio al tanto amato Krautrock (con cui gli Horrors, in passato, hanno avuto più di una frequentazione). Cullati dalle chitarre manipolate e visionarie di Mine and yours arriviamo al cospetto di Sleepwalk, probabilmente il vero capolavoro dell’album, una ballata pop spiritata e inquieta. Luminous è una passeggiata in un paesaggio e(c)statico collocato da qualche parte negli anni ’90 così come i libri, i dischi e la fantasia di Faris li hanno immaginati. Una cartolina da un universo apocrifo, che evita il tedio della nostalgia ma rimane una tacca sotto le sue effettive, dirompenti possibilità.