Fossil Collective – Tell where I lie

Fossil Collective è un nome interessante per un duo. Più che all’ego, la scelta di Dave Fendick e Jonny Hooker di definirsi “collettivo” fa pensare piuttosto ad un’implicita ammissione della molteplicità di riferimenti che sottende la loro musica.

Tell where I lie, l’album di debutto, è per certi versi effettivamente un lavoro aperto a vari contributi: dentro ci senti Bon Iver, Mumford & Sons, Fleet Foxes persino i Sigur Rós. Il pop, il folk, il post-rock; l’acustico, l’elettrico, l’elettronica: le dieci tracce attigono a serbatoi diversi. Ma, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un’operazione del genere, lo fanno in maniera meno scontata del solito. Certo, il piglio è più emotivo che emozionante, e spesso i brani fanno fatica ad incidere realmente, ad andare oltre il piacere temporaneo di una buona progressione di accordi o un bel refrain, ma alcune intuizioni sono preziose. Per esempio Monument, che si distende lieve e sigurrosiana, tra intrecci di chitarre e droni sintetici rischiarati da spruzzate ben calibrate di piano ed archi. The magpie ammicca spudoratamente ai Mumford, ma ha dalla sua uno stupore un po’ dolente che suona sincero. E poi c’è la coda strumentale, che intriga malgrado sfrutti un copione consolidato.

Let it go ci mette un po’ di brio, così come Wolves, che magari ammicherà pure ai R.E.M. (come Let it go) ma con una leggerezza che sta tra Keane (gli innesti di piano) e Travis: l’assolo elettrico forse non era necessario, nondimeno non deborda e dunque alla fine un suo perché lo trova. Gli arrangiamenti si colorano di tinte nuove in Brother, in cui spuntano i fiati, e in Under my arrest, che aggiunge qualche tocco d’organo. All’opposto, c’è la scarna How was I to know, che chiude il disco all’insegna di un bozzetto a base di chitarra, voce e giusto qualche tocco di piano. Anche qui, niente di particolarmente memorabile, ma il mood – intimista, malinconico e trasognato – è quello giusto.

I Fossil Collective hanno dalla loro soprattutto una qualità: giocare con gli stereotipi (che siano questi i “fossili”?). Lo fanno con grazia e nei momenti migliori rischiano pure di essere brillanti. La rimasticatura dei cliché indie folk, per quanto triti, lascia spazi interessanti all’approccio genuino del duo, che non suona mai autoindulgente. Certo, all’infuori di questo, rimane poco altro: più che l’atmosfera, ci vorrebbero melodie memorabili. I Fossil Collective quelle (per ora) non ce le hanno, ma vederli crescere potrebbe essere un’esperienza interessante.

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