Il Sudafrica e Adrian van Dis iniziano il loro rapporto molti anni fa, quando l’autore, dopo una giovinezza difficile, ha fatto del tema dell’identità, dell’interculturalità e della discriminazione i tratti essenziali della sua poetica. Nel 1990, quando Mandela viene liberato, van Dis si reca di persona in quelle terre e produce romanzi-reportage sulla comunità disorientata dai cambiamenti, lacerata dalle lotte tra gruppi etnici, piena di aspettative. Nel 2008, poi, è la tv olandese a mandare in onda le sue interviste dall’Africa meridionale, che ben descrivono la situazione attuale.
Tradimento. Ritorno in Sudafrica, è l’ultimo capitolo del legame tra van Dis e questo Paese, un romanzo (edito in Olanda nel 2010 e in Italia da Iperborea) che è una storia di viaggio. Un ex combattente anti-aparthied, Mulder, ritorna nella terra dove aveva lottato molti anni prima in difesa della libertà: il viaggio si trasforma in un percorso nella memoria e nel presente, nella delusione per vedere infrante promesse di uguaglianza e fraternità. Mulder e l’amico Donald devono rimettere in discussione il senso e il valore della lotta e della politica, sperando che l’animo dei vecchi resistenti abbia ancora la meglio.
Il romanzo di van Dis, che lascia senza risposta molte domande (forse troppe), trova nel suo intenso collegamento con la storia la chiave di volta, il cui codice d’accesso ci è svelato da Fulvio Ferrari nella splendida postfazione al testo. La cultura e la politica olandese, attente alla situazione nel Sudafrica a causa del secolare rapporto di colonizzazione, non lasciano indifferenti l’autore, che in questi anni è passato dal giornalismo alla letteratura con immensa facilità. Mulder e Donald sono strumenti per riportare all’attenzione del lettore la realtà di un Paese che non è più al centro dell’interesse internazionale, ma che continua ad essere intaccato dall’Aids, dalla criminalità, dal razzismo, dalla corruzione della nuova classe politica.
Questo viaggio tra passato e presente toglie sicurezze, spariglia le carte e, più che verso una vera e propria ricerca dell’identità perduta, sembra andare nella direzione dell’amarezza e del disincanto. Ecco perché van Dis si sente tradito dalla storia, da questa terra a sud del Mondo e dal Mondo stesso, che troppo facilmente si volta dall’altra parte quando, una volta raccolte le macerie, si tratta di “ricostruire”.