Sidney Lumet – Onora il padre e la madre

Dal libro del Deuteronomio: «Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sia felice nel paese che il Signore tuo ti dà». I coniugi Hanson hanno due figli maschi, Andy ed Hank, entrambi alle prese con una vita incasinata, anche se per diversi motivi: Andy conduce, all’apparenza, un’esistenza tranquilla, con un bel lavoro e una splendida moglie al suo fianco. In realtà, la consorte lo tradisce nientemeno che con Hank e sotto l’aspetto professionale le cose vanno altrettanto male. Inoltre, Andy è eroinomane. Hank, invece, è divorziato e con un sacco di debiti. I soldi sono il loro problema principale e per questo Andy propone al fratello di rapinare la gioielleria gestita dai genitori. Il colpo non porta agli esiti sperati e l’episodio degenera in tragedia.

Onora il padre e la madre è un dramma che cala lo spettatore sino ai recessi più reconditi dell’animo umano, mettendo a nudo le sue frustrazioni e insicurezze. Se da una parte Hank incarna l’immagine del perfetto inetto, prigioniero di una sorta di puerilità comportamentale, dall’altra Andy è lo specchio di una società in cui l’individuo di successo è il contenitore dei peggiori vizi, delle più radicate paure, prima fra tutte quella dell’apparire, che lo spinge a rifugiarsi nella droga per superare le sue angosce o, meglio, per non pensarci. I fratelli sono per vie e modalità differenti incapaci di affrontare la quotidianità di petto, di accettarne i rischi e i sacrifici, di sopportane i dolori, imparando a gestirli con coraggio e determinazione.

Il titolo originale della pellicola richiama parte di un antico detto irlandese che recita: «May you be in heaven half an hour before the devil knows you are dead». Che tu possa giungere in paradiso mezz’ora prima che il diavolo s’accorga che sei morto: sintomo di come la permanenza terrena dei protagonisti del lungometraggio sia tutto fuorché degna dell’alto dei Cieli. La sceneggiatura è ottima, basata sull’utilizzo di frequenti flashback, ma a renderla davvero superlativa è l’accoppiata Philip Seymour Hoffman e Ethan Hawke, perfettamente calati nei rispettivi ruoli, in grado di esprimere anche da un punto di vista fisico e gestuale le tare dei propri personaggi. Il finale tragico, che non lascia vincitori ma solo vinti, è l’apoteosi del processo auto-distruttivo dei caratteri, rinchiusi in un labirinto senza uscita, il cui percorso porta a una sola e inevitabile conclusione.

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie