Shakespeare e il crowdsourcing letterario: ecco «The Global Hamlet»

Simone Barillari, apprezzato saggista e traduttore (Ernest Hemingway, Jack London, Michel Houellebecq), è l’uomo dietro «The Global Hamlet». Primo esperimento di crowdsourcing (avete presente Wikipedia?) applicato alla letteratura, il progetto mira a tradurre, commentare e illustrare l’Amleto di William Shakespeare. La partenza è prevista per il prossimo inverno, quando chiunque vorrà potrà iscriversi sul sito ufficiale e dare il proprio contributo, sotto il controllo di un gruppo di esperti editor (per l’Italia, Giovanna Scocchera e Riccardo Duranti). L’esperimento ha una connotazione internazionale e porterà alla realizzazione di un libro edito in ben sei paesi. Abbiamo fatto due chiacchiere telefoniche con Barillari, evidenziando le caratteristiche che rendono «The Global Hamlet» un’operazione unica, con implicazioni che trascendono la dimensione strettamente letteraria.

 

Crowdsourcing applicato al mondo della letteratura: Simone, cos’è «The Global Hamlet»?

«The Global Hamlet» è il primo esperimento di traduzione, annotazione e illustrazione popolare di un’opera letteraria. Curatela letteraria in senso ampio, insomma. Non è mai stato provato nulla di simile. L’esperimento si svolgerà in cinque lingue: oltre all’italiano, inglese (in questo caso si tratterà di sole annotazione e illustrazione), spagnolo, olandese e francese. Da qui a luglio, però, potrebbero aggiungersene un paio: tedesco, per esempio, e una lingua orientale. Ma, per quest’ultima, le cose sono ovviamente più complicate…

 

Da quanto ci state lavorando? E quando il sito internet aprirà definitivamente?

Circa un anno. Il progetto è stato presentato a Feltrinelli l’anno scorso, ma abbiamo avuto il sì solo tra la fine di marzo ed aprile, e da lì è cominciato tutto. Il sito, invece, aprirà nell’inverno 2013-2014 – a novembre o gennaio, vedremo. Apriremo il giorno stesso in cui comincerà il progetto, e sarà online in tutte le lingue contemporaneamente.

Uno dei passaggi cruciali di «The Global Hamlet» è la realizzazione di un libro, in uscita per una serie di editori internazionali, nel 2014…

Il libro uscirà in contemporanea con tutti quegli editori che hanno sottoscritto con noi dei contratti editoriali: Feltrinelli, appunto, in Italia, Anagrama in Spagna e Sudamerica e Athenaeum in Olanda. E in più, siamo in trattative con un grosso editore, di cui, però, non posso dire nulla: abbiamo un accordo, ma stiamo discutendo un po’ di diritti accessori, dunque è una fase ancora delicata. Va detto, però, che il libro non uscirà proprio nel 2014: nel 2014 (tra l’altro, il 450° anniversario dalla nascita di Shakespeare) avvieremo solo il processo…

Da quale esigenza è nato un progetto del genere e qual è l’obiettivo?

L’esigenza è molto semplice: fare una cosa che non era stata ancora fatta. Mi affascinava, in particolare, l’idea di trasformare internet da un gigantesco contenitore di dati a un gigantesco “autore”. E questo attraverso l’applicazione del principio dell’intelligenza collettiva, che è già stata applicata con successo alla politica (recentemente con la costituzione islandese, che è partecipata), alla tecnologia (con Linux) e alla conoscenza in generale (con Wikipedia). Ecco, il “gioco” è vedere cosa succede quando si applica il crowdsourcing, appunto, alle arti. «The Global Hamlet», in effetti, parte con l’Amleto, ma è un esperimento che, in futuro, abbraccerà più opere d’arte, costruite sempre attraverso l’assemblaggio di contributi individuali filtrati da una equipe di editor, di volta in volta artisti, traduttori, scrittori.

L’Amleto è un testo fondamentale per la storia della cultura occidentale. Da traduttore esperto e, più in generale, da “addetto ai lavori”, qual è, secondo te, la difficoltà maggiore che chi parteciperà all’esperimento si troverà ad affrontare nel tradurre, illustrare e commentare il testo di Shakespeare?

Ho lavorato per strutturare questo progetto in modo tale che possano proporre le loro traduzioni persone anche con una conoscenza scolastica dell’inglese, dunque non penso ci saranno grosse difficoltà. Anzi, posso dire che sarà abbastanza semplice. Considera che «The Global Hamlet» arriverà anche nelle scuole superiori, a contatto con ragazzi di 18 e 19 anni, che non sempre posseggono competenze nelle lingue straniere così elevate. L’idea, quindi, è far cimentare le persone con la traduzione. Per come è strutturato il progetto, più saranno i partecipanti, coloro che tenteranno di tradurre realmente (senza inserire cioé giochi di parole o battute volgari), migliore risulterà la qualità del risultato finale, indipendentemente dalla bontà delle singole idee – a meno che, certo, non siano disastrose. Se vogliamo, è un’idea per trasformare la quantità di internet nella qualità del libro. Tra l’altro, i nomi di tutte le persone che parteciperanno e saranno riuscite a far sì che il loro contributo venga almeno in parte utilizzato, saranno indicati nel libro…

 

Quindi «The Global Hamlet» è un metodo che trascende la dimensione strettamente letteraria…

Sì, in un certo senso è un metodo applicabile anche ad altri contesti. Sostanzialmente, ha a che vedere con i ragionamenti su come funziona l’intelligenza collettiva e con tutta una serie di studi in materia (tra questi, La saggezza delle folle di James Surowiecki, pubblicato da Fusi Orari). L’idea è quella di avere una partecipazione ampia, variegata, e il più possibile costituita da elementi indipendenti, a fronte di un meccanismo di controllo dei contributi che sia molto centralizzato, molto piccolo, agile, forte e coeso. Quindi un massimo decentramento con una massima centralizzazione.

Il progetto si svolgerà in collaborazione con tutta una serie d’importanti istituzioni internazionali – in Italia, ad esempio, la Cattolica, la Sapienza, le università di Pisa, Firenze, Urbino, Torino, lo I.E.D. e via di seguito. Prima, inoltre, parlavamo dell’accordo con Feltrinelli. Nel complesso, mi pare che il rapporto con le istituzioni, di solito estremamente snob e conservative quando si tratta di queste iniziative, è stato più che proficuo…

Assolutamente. Le istituzioni con noi sono state estremamente collaborative. Per quanto riguarda le università, in particolare, si tratta di un esperimento che coinvolgerà direttamente gli studenti: i docenti, con le loro classi, faranno tradurre pezzi di Amleto sotto la loro direzione. È un’iniziativa, sotto questo aspetto, semplice, non dispendiosa e perfettamente in linea con i programmi. Dunque, perché no? E pensa che non abbiamo ancora battuto in maniera seria le scuole di traduzione: lì mi aspetto un’adesione “bulgara”. Capirai: un corso di traduzione che tiene una lezione di due-tre ore su una cosa del genere, invitando i propri studenti a tradurre, sai che successo?

Quel è stato il passaggio più difficile nell’organizzare «The Global Hamlet»?

Il passaggio difficile viene adesso. Si tratta di reperire tutte le risorse necessarie per partire: ne abbiamo trovate una parte, stiamo lavorando per trovare le altre. È, in sostanza, la trasformazione di un progetto del genere da iniziativa culturale a impresa culturale. Ecco la complessità di «The Global Hamlet»: realizzare questo genere di opere collettive presuppone avere alle spalle una struttura industriale, ovvero un nucleo di persone che lavorano come in un’azienda, che abbiano un certo approccio. Una persona che curi gli eventi, un’altra che si occupi dei rapporti con le istituzioni, la stampa, un’altra ancora che crei coinvolgimento sul web: è un lavoro vero e proprio, a tempo pieno.

Un aspetto di cui volevo parlare con te è quello della traduzione. Ho l’impressione che, soprattutto in Italia, la figura del traduttore sia un po’ troppo “nascosta” e privata del suo giusto riconoscimento. Negli ultimi anni, la crisi congiunturale e la più generale difficoltà strutturale del settore dell’editoria, come hanno cambiato (peggiorato) il mestiere e la professionalità del traduttore?

Io credo due cose. Primo, negli ultimi anni il livello delle traduzioni è aumentato, rispetto anche ad un passato in cui persino i grandi nomi (Fernanda Pivano, tanto per citare una molto nota) prendevano delle solenni topiche. Ti faccio un esempio: le traduzioni di Fitzgerald uscite lo scorso anno, dopo la scadenza del diritto d’autore [in Italia, il diritto patrimoniale d’autore cessa dopo 70 anni dalla morte dell’autore, n.d.r.], sono tutte migliori di quelle che ha fatto la Pivano. Ed è esattamente quello che succederà quando, tra qualche tempo, anche le opere di Hemingway saranno libere. In generale, le traduzioni dagli anni ’20 agli anni ’60 non potevano usufruire della quantità di strumenti (elettronici e non) e delle possibilità di viaggio, di contatto, di cui dispongono i traduttori oggi. Sotto questo punto di vista, internet è un vantaggio straordinario, perché consente di rintracciare una parola con grado di precisione incalcolabilmente maggiore che in passato. Ovviamente, internet bisogna saperlo usare: questo è uno dei particolari che distingue un bravo traduttore da uno mediocre. Per quanto riguarda la situazione economica, in Italia traduttori sono sempre stati sottopagati e lo saranno sempre. Da noi vige questa curiosa contraddizione: il traduttore è ritenuto autore di un’opera d’ingegno, ma non gode dei diritti d’autore sull’opera stessa, contrariamente, ad esempio, da quanto accade in Francia.

Sarebbe un riconoscimento importante, al di là dell’aspetto economico…

La traduzione è un po’come l’esecuzione al pianoforte di un vecchio spartito. Oggi non sentiamo più Mozart o Beethoven, sentiamo le loro interpretazioni. E la traduzione, quando è di alto livello, è esattamente così: il traduttore legge un testo, uno “spartito”, e lo interpreta a modo suo. Le analogie, del resto, sono moltissime: alcune traduzioni, per esempio, sono più lunghe di altre proprio come ci sono esecuzioni musicali differenti, con pause e tempi diversi, oltre che una diversa semantica del suono…

I traduttori italiani? Come sono rispetto ai colleghi europei o internazionali?

In Italia ci sono dei traduttori eccellenti, dei virtuosi della traduzione. Mi vengono in mente Susanna Basso, Rossella Bernascone, Ottavio Fatica, Sergio Claudio Perrone, lo stesso Riccardo Duranti, il compianto Ettore Capriolo. Uno dei motivi di successo italiano de La versione di Barney [di Mordecai Richler, pubblicato in Italia da Adelphi, n.d.r.], che da noi ha venduto molto più di quanto non abbia fatto negli altri paesi, è sicuramente la traduzione straordinaria di Matteo Codignola.

Lasciamoci con un’ultima domanda, su «The Global Hamlet». Prima parlavamo dell’importanza della quantità, del suo “travaso” nella qualità. Sicuramente, questo della partecipazione è uno dei parametri in base al quale valutare il successo dell’iniziativa. Ma gli altri? Cos’è che, a esperimento concluso, ti farà dire: ok, ce l’abbiamo fatta?

Al di là della quantità di internet, il parametro principale per me è la qualità del libro. Se noi assumiamo che l’intelligenza collettiva, con «The Global Hamlet», diventa autrice di opere, dobbiamo poi valutarla come ogni altro autore, dunque sulla base delle opere prodotte, non sulla base delle buone intenzioni, quale potrebbe essere nel nostro caso, appunto, il numero di persone partecipanti. Vorrei che fossero in tantissimi a partecipare a questo esperimento, ma certamente il primo parametro rimane la qualità, in senso lato. Staremo a vedere.

Oltre a Barillari, nel team di «The Global Hamlet» ci sono anche Corinna Bottiglieri, Nefeli Misuraca, Bianca Sacchetti e Fiona McMorrough. Tra i patrocini ottenuti dal progetto, spiccano anche quelli dell’Université de Liège e dell’Universidad Complutense de Madrid.

Qui sotto, un video relativo all’iniziativa:

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