Piccolo (e indipendente) è bello: Marcos y Marcos

L’avventura di Marcos y Marcos è cominciata trentadue anni fa, in una mansarda di Milano, dalle parti di Porta Venezia. Marco Franza e Marco Zapparoli, circondati da fascicoli che parevano usciti «dal ciclostile di un gruppo scout», davano inizio, poco più che ventenni, a quella che, a tutt’oggi, è la più importante avventura editoriale indipendente italiana. Tempo dopo l’addio di Franza, entrò in squadra Claudia Tarolo, che di Zapparoli è la moglie. Ed è con lei che abbiamo avuto questa lunga chiacchierata telefonica, nella quale abbiamo ripercorso l’approccio peculiare al mondo editoriale da parte della Marcos, i suoi recenti successi (Se ti abbraccio non aver paura, di Fulvio Ervas, è il “caso” dell’anno), la voglia di “fare sistema” con gli altri operatori del settore e di promuovere la passione e il piacere della lettura.

 

Nelle note storiche relative alla casa editrice presenti sul sito, la prima cosa che colpisce è il riferimento ai vostri inizi, trent’anni fa, in una mansarda milanese. Mi sembra un modo per sottolineare sin da subito la dimensione indipendente della Marcos. Volevo capire, però, cosa significa in concreto, per voi, essere indipendenti e qual è il valore aggiunto di questa indipendenza…

Noi siamo indipendenti in molti sensi. Prima di tutto, dal punto di vista economico: la casa editrice si regge solo ed esclusivamente sulle vendite dei libri, non abbiamo un reddito o un patrimonio alle spalle che ci consenta di fare questo lavoro indipendentemente dai risultati. E ciò rende tutto particolarmente realistico: quello che facciamo interessa il mercato e il mercato risponde, consentendoci di fare questo mestiere. La casa editrice, inoltre, appartiene interamente a noi, il che significa che non rendiamo conto a nessuno delle nostre scelte. Siamo poi indipendenti dalle mode, dal marketing (inteso come sistema per assecondare ipotetiche richieste del mercato) e dai nostri stessi successi, i quali, a volte, possono essere più catastrofici degli insuccessi…

A proposito del fatto che siete, per così dire, legati esclusivamente a quello che fate, tu hai lasciato un impiego più comodo per cimentarti con l’editoria. Perché? Cosa ti attraeva di questo mondo?

Ho sempre amato i libri, ho sempre tradotto, ho mantenuto da sempre un legame con questo modo, ma per tanti anni ho fatto altro. Ho lavorato per IBM e Oracle, due multinazionali del software, poi ho scelto di dedicarmi ad un’attività meno remunerativa e molto più faticosa, ma che mi ha consentito di fare quello che effettivamente volevo e mi piaceva fare. Certamente, sulla decisione hanno pesato i libri e la passione per la lettura. Ma la cosa che mi piace di più, direi, è proprio l’idea di “fare” i libri in modo aziendalmente efficiente, quindi riuscire a conciliare una passione con la redditività economica. Mi piace dedicarmi ai libri mettendomi continuamente alla prova su quanto le mie scelte possano essere condivise dagli altri. Questo è l’aspetto più intrigante, la sfida. E nel 2012, durante il quale abbiamo avuto anche un best seller, ho visto coronato, dopo 15 anni, questo desiderio…

 

Avete cominciato dedicandovi ai classici (Boris Vian, John Fante, Mario Luzi), poi, dal 2000, avete – parole vostre – preso a «picchiar sodo» anche con autori più moderni. Se dovessi definire la specificità del vostro catalogo, come la racconteresti?

Questa è la domanda più difficile. Contrariamente ad altri, noi non abbiamo una cornice precisa (penso ad esempio ad Iperborea, specializzata esclusivamente in letteratura nordeuropea). Quello che a noi interessa è proporre delle voci molto forti, distinguibili, far emergere attraverso le varie storie, in una sorta di “dialogo” tra i libri del nostro catalogo, il valore della differenza. Con le nostre proposte editoriali vogliamo rispecchiare tipi diversi di scrittura, che siano ciascuno di valore nel proprio genere, anche esprimendo idee e prospettive differenti. Quando parliamo con agenti ed editori stranieri che ci chiedono «voi cosa cercate?», noi non possiamo che rispondere «dei buoni libri». Non abbiamo pregiudizi o preclusioni: pubblichiamo gialli accanto a opere più letterarie, racconti, poesie.

Accennavi ad un bestseller e parlavi di una scrittura molto forte: il 2012 è stato un po’ l’anno di Fulvio Ervas, che ha raccolto un grandissimo successo con Se ti abbraccio non aver paura. Quando avete letto per la prima volta il manoscritto, cosa avete pensato, cosa vi ha colpito esattamente?

È una storia un po’ lunga. Innanzitutto, con Fulvio c’era un rapporto di tanti anni, questo era il nono romanzo che lui ci proponeva [nel 2011 era uscito L’amore è idrosolubile, n.d.r.], quindi si partiva dall’idea che si sarebbe andati avanti a lavorare insieme. Quando, due anni fa, ci parlò della sua idea per il nuovo libro, siamo rimasti molto colpiti, anche perché era un bel salto rispetto alle cose che aveva fatto in precedenza, non si era mai occupato di sentimenti e relazioni familiari. Non appena ci ha fatto leggere la prima stesura del romanzo, ci è parso subito evidente come dentro ci fossero molte cose preziose: c’era una storia avventurosa, on the road, con tutta l’emozione che questo comporta, e un filo più sottile, delicato, quello del rapporto padre-figlio e di un padre con un figlio con una malattia come l’autismo. La stesura iniziale era molto grezza, il materiale possedeva una densità estrema: il consiglio che ho dato a Fulvio è di ricondurre questo magma a un insieme più equilibrato, con un impatto meno massiccio. È stato un lavoro lungo, durato più di un anno, ma il risultato ci ha soddisfatti da subito, al punto che abbiamo lanciato il libro con tutta la nostra forza, la nostra convinzione. E credo che questa cosa si sia avvertita.

Il 2012 è stato anche l’anno di Miriam Toews [di cui trovate l’intervista qui, n.d.r.], con Mi chiamo Irma Voth

Miriam è una grande scrittrice. L’abbiamo scoperta diversi anni fa. Avevamo letto A complicated kindness (2004): l’abbiamo letto in inglese, volevamo pubblicarlo, ma poi abbiamo scoperto con dispiacere che c’aveva già pensato Adelphi [con il titolo Un complicato atto d’amore, n.d.r.]. Ovvamente siamo stati contenti quando la Toews, dopo che l’Adelphi non era più interessata a pubblicarne i libri, ha scelto noi come suoi editori italiani. Oltre a Mi chiamo Irma Voth abbiamo pubblicato anche In fuga con la zia [nel 2009, n.d.r.] e, nel corso di quest’anno, ne faremo uscire un terzo…

Nel 2006 avete rallentato la produzione: in un periodo come questo, in cui siamo bombardati da parole come “crescita” e “produttività”, un soggetto economico che riduce i ritmi è una cosa che colpisce…

Il problema è che le case editrici pubblicano troppi libri tutti assieme, e questo produce una sorta di schiacciamento: se escono troppi libri, non c’è fisicamente tempo per i librai e i lettori per scoprirli, perché vengono subito soppiantati da altri. Confrontandoci proprio con i librai, abbiamo capito che non si poteva andare avanti così e nel nostro piccolo abbiamo stabilito che avremmo pubblicato solo i libri che avremmo potuto promuovere. Che senso ha far uscire un libro se non hai gli spazi e i tempi per farlo conoscere? In quel modo, deludi l’autore, butti via inutilmente delle risorse e crei una sovrabbondanza di cui non c’è bisogno. Abbiamo scelto di pubblicare 13 novità ogni anno e abbiamo constatato che questa politica funziona: i nostri libri hanno parecchie recensioni, rimangono in libreria molto a lungo e anche in termini di vendita hanno successo, perché vendiamo più o meno lo stesso numero di copie che in passato, ma ripartite su meno titoli…

Mi pare che il 2012 sia andato abbastanza bene per voi…

Il 2012 per noi è andato benissimo: abbiamo moltiplicato il fatturato in un modo che non speravamo, soprattutto considerando la crisi e le difficoltà del settore. Inoltre, l’anno scorso ci siamo inventati questi “panni”, per pulire occhiali, schermi di pc, cellulari, delle stringhe con delle frasi, e sono andate molto bene pure quelle. Ed anche il 2013 è iniziato in modo positivo…

Leggendo le note stampa sulla «Piccola scuola di arti narrative» [il cui prossimo corso comincerà il 10 febbraio, n.d.r.] e ripensando al tuo discorso, in cui hai fatto riferimento al dialogo con i librai, sembra che la vostra filosofia sia quella di “fare sistema”, di rivolgervi a tutti gli agenti del mercato editoriale …

Certo, secondo noi è indispensabile. Una casa editrice per sua natura deve fare da tramite, e quindi deve conoscere e scambiare idee, problemi, soluzioni con gli altri operatori del settore. Questo è importante anche per capire quale direzione prendere ogni volta: è così che noi, nel corso degli anni, ci siamo trasformati per poter continuare a fare questo lavoro in modo adeguato ai tempi e alle circostanze.

Come nasce e quali obiettivi si propone questa «Piccola scuola»?

È una cosa che abbiamo aspettato un po’ a fare, perché c’era e c’è sempre l’idea che non si può insegnare a scrivere. Però abbiamo riflettuto che il punto non è se tutti debbano diventare o meno romanzieri, ma che la narrazione accompagna ogni momento della nostra vita. Dunque perché non soffermarsi un po’ su quegli elementi che la strutturano, sui suoi strumenti? Abbiamo quindi organizzato questa “scuola”, un corso che abbracciasse la facoltà della narrazione in senso più ampio: non solo la scrittura, insomma (che è comunque alla base del corso), ma anche il racconto orale, la lettura ad alta voce, il racconto per immagini, le suggestioni che genera la musica e via di seguito. Siamo partiti due anni fa, ed è stata per noi un’esperienza bellissima, emozionante, perché abbiamo messo in comune con altri qualcosa che ci tocca profondamente. I ragazzi che hanno partecipato provenivano da contesti ed esperienze diverse, ma sono rimasti in contatto con noi.

Dicevamo che il “fare sistema” è anche un po’ il tratto caratteristico di questa iniziativa. Tuttavia, quanto questa rete può essere utile per risollevare un settore da anni in crisi strutturale, al di là della congiuntura economica, e quanto, invece, sarebbe necessario l’intervento dello Stato (per esempio a sostegno della lettura, delle biblioteche, della scuola)?

Ci sarebbe molto bisogno di questo intervento. Purtroppo come italiani siamo abituati a farne a meno. L’anno scorso, ad esempio, è stata approvata la «legge sul prezzo del libro», per frenare gli sconti indiscriminati e irrealistici sui libri e consentire ai librai di farsi concorrenza in modo effettivo. La nostra proposta, assieme ai «Mulini a Vento», mirava ad essere più incisiva, ma il risultato, seppur annacquato, va comunque bene, è pur sempre qualcosa. L’importante è non smettere di puntare sul lavoro delle istituzioni: queste devono rendersi conto che la vitalità delle librerie è un patrimonio irrinunciabile. Quando una storica libreria milanese come L’Utopia è costretta a spostarsi in periferia per sopravvivere, dopo aver arricchito il centro della città con la sua presenza per oltre trent’anni, è ovvio che il Comune dovrebbe intervenire. In attesa delle istituzioni, però, è importante continuare a “far rete”, a scambiarsi proposte e progetti e soprattutto a darsi una mano a vicenda, in modo che il pubblico si convinca davvero che la lettura, i libri, sono cose belle e preziose, che arricchiscono, danno gioia. Le iniziative che stiamo organizzando, come «Letti di Notte» e «BookUp», servono proprio a questo: a dimostrare che leggere è un piacere. E lo vogliamo fare non solo come Marcos y Marcos, ma assieme a tutti quelli (librai, scrittori, editori) che in questo modo lavorano, che in questo mondo credono e mettono energie.

Parliamo di e-book: vi piacciono? Ci punterete?

Per noi l’e-book non sostituisce e non sostituirà mai il libro di carta, ma vi si può affiancare tranquillamente. Il punto è che per noi i librai sono come compagni di staffetta, completano il percorso di un libro dallo scrittore al pubblico, dunque non vogliamo danneggiarli in nessun modo. Per questo di Se ti abbraccio non aver paura non abbiamo fatto la versione digitale: perché attualmente, l’e-book non può essere venduto in libreria. Le sperimentazioni in corso in questo senso, però, sono incoraggianti. Ovviamente, vorremmo realizzare e-book con una loro specificità, ricollegando al contenuto immagini, video, musica. Fare insomma qualcosa d’altro rispetto al romanzo in senso stretto, che per noi è sempre meglio leggerlo su carta.

Per quest’anno quali sono i vostri assi nella manica?

Ne abbiamo diversi. Innanzitutto, uscirà a maggio il nuovo romanzo di Paolo Nori, La banda del formaggio. Poi proseguiremo con un libro di Lisa Gardner, di cui l’anno scorso abbiamo pubblicato La vicina. Lanceremo anche una nuova collana, «Il mondo è pieno di gente strana», diretta da proprio da Paolo Nori, che coinvolgerà vari autori, mettendoli alla prova sul racconto di vite romanzato. Stiamo poi lavorando con Cristiano Cavina sul suo nuovo romanzo, che speriamo riesca ad uscire entro quest’anno. E poi ci sarà, oltre a quello della Toews cui accennavo prima, il nuovo libro di Fulvio Ervas…

In conclusione, in quello che fate oggi, quanto c’è ancora dello spirito di quella mansarda milanese, di quei fogli «quasi ciclostilati» degli anni ’70…

È rimasta, in primis, l’idea di essere piccoli e lavorare a stretto contatto. A me piace curare tutti gli aspetti del libro in modo diretto, con una squadra piccola, compatta, molto unita, tenendo sempre l’opera al centro. L’altra cosa che non abbandoneremo mai è il fatto di continuare a imparare: nella piccola mansarda c’erano due ragazzi di vent’anni che non sapevano niente di questo mestiere e che hanno imparato sul campo a cosa significava fare gli editori. E questo non puoi mai smettere di farlo, perché cambia il mondo e cambi anche tu.

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