Natalia Ginzburg – Lessico famigliare

Lessico famigliare esce nel 1963, anno in cui Natalia Levi Ginzburg era già autrice affermata ed aveva offerto interessanti esempi di produzione narrativa con, tra gli altri, È stato così (1947) e Tutti i nostri ieri (1957). Il romanzo arriva nel momento di maggiore sicurezza letteraria della scrittrice, la quale sceglie di lasciarsi andare alla spontaneità della composizione di un’opera semi-autobiografica e profondamente sentita. Lessico famigliare è infatti un libro di memorie affastellate e disordinatamente riportate alla luce del presente così come esse si sono sedimentate nel corso degli anni nei luoghi privati della mente della Ginzburg. Memorie personali e memorie storiche, che amabilmente si intrecciano e si compenetrano fino a dipingere il quadro nitido e genuino di un’epoca, quella che parte dagli anni ’20 e che comprende tutto il dopoguerra.

La vita affaccendata ma semplice della famiglia Levi è raccontata nei suoi aspetti più minuziosi e ridicoli così come in quelli più seri, e si inserisce armoniosamente nel contesto prima solo torinese poi compiutamente italiano dell’attività culturale e politica tra Ventennio e Liberazione. Il papà-professore Giuseppe e la mamma Lidia, i fratelli Paola, Gino, Alberto e Mario, la serva Natalina; ma anche gli imprenditori Olivetti, il socialista Filippo Turati, gli einaudiani Leone Ginzburg (futuro marito dell’autrice), Cesare Pavese e Italo Balbo: tutti personaggi che dialogano a comporre un’opera che è forse più esaustiva, sicuramente più emozionante, di un manuale di storia.

Dagli anni bui del regime fascista, contrassegnati dalla censura culturale e dagli arresti a tappeto praticati tra i circoli di dissidenti e cospiratori, passando per i tempi ancor più cupi della guerra e della persecuzione razziale, fino al “triste” – così lo definisce la Ginzburg – dopoguerra delle speranze tradite, la famiglia Levi si disfa e si riunisce seguendo il ritmo schizofrenico degli eventi storici. Nonostante tutto, riesce a conservare con istintiva audacia un immaginario comune che attecchisce e trova la propria pregnante simbologia nel terreno fertile di un linguaggio sempre condiviso. Un linguaggio che è quello bizzarro sviluppato nella quotidianità della vita famigliare e che il lettore attento saprà traslare a emblema di quel senso di appartenenza che ha contraddistinto e forse contraddistingue tuttora la “famiglia” degli italiani antifascisti e resistenti.

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