Royal Baths – Better luck next life

Il blues del delta, gli aromi africani, la psichedelia più acida, il garage e il noise: non si può dire che Jeremy Cox e Jigmae Baer (ex Thee Oh Sees e Ty Segall) si facciano mancare qualcosa. I due Royal Baths sguazzano nelle tenebre melmose di un sound ipnotico e lisergico, carico di richiami ancestrali, devastato da immani distorsioni eppure a suo modo raffinato. Gli ingredienti di Better luck next life, in fondo, sono gli stessi del debutto, Litanies, ma qui c’è più vigore, più convinzione. Rispetto ai motivetti raggelati del primo lavoro, gradevoli ma eccessivamente calligrafici, le invocazioni stridule e nevrotiche di questo sophomore rivelano una vitalità e un senso di necessità prima non rintracciabili.

Chitarre iperdistorte, bassi cupissimi e drumming tribali sono gli ingredienti della spigolosa Darling divine, in cui il canto, nel suo distacco imperturbabile, mostra a tratti vaghe inflessioni reediane. Spettrale e gelida, Contempt è un mantra che perturba con coretti smaccatamente pop. E se nella caracollante Black sheep pare di risentire i Doors immersi in un bagno di decadenza East-Coast, Map of Heaven strizza l’occhio alla psichedelia dei Brian Jonestown Massacre (originari di San Francisco come i Baths). I due, tuttavia, danno il meglio quando optano per il formato della jam selvaggia: le vertigini lisergiche delle lunghe Burned (sezione ritmica groovy, call & response tra vocals suadenti e sei corde in raga) e Be afraid of me (un cerimoniale esoterico degno dei Velvet Undergound, dagli aromi orientaleggianti) immergono l’ascoltatore in una sorta di incubo colloso, in un microverso popolato di creature orrende e fantasmi spaventosi. Parimenti efficace è la sinistra Faster harder,memore del teatrino decadente di Iggy Pop, che accelera progressivamente sino a trasformarsi in un vortice di distorsioni.

Insomma, Cox e Baer non inventano nulla di nuovo. I due, tuttavia, mescolando le carte, riescono nell’impresa di iniettare in un sound ben definito e già ampiamente sviscerato (anche da act più recenti: pensiamo, ad esempio, ai texani Black Angels), una discreta dose di personalità. Niente per cui strapparsi i capelli, ma Better luck next life è comunque un album ben costruito, a tratti persino affascinante, che mostra barlumi di un talento il quale, però, necessita di essere coltivato. La speranza, insomma, è che questo sia un punto di partenza e non di arrivo.

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