Cold War Kids – Mine Is Yours

La chiave di lettura più efficace per comprendere la natura della terza fatica artistica dei Cold War Kids risiede, probabilmente, nell’abbandono di quel sound spoglio e asciutto che aveva contraddistinto le prove precedenti, in favore di uno più curato e tirato a lucido, merito di un produttore esperto e affermato come Jacquire King (tra le altre cose, dietro la consolle negli ultimi lavori dei Kings of Leon). Dispiace costatare, però, come l’album finisca per scivolare nel mainstream più inconsistente, grazie ad una manciata di brani modaioli, furbescamente congegnati per consentire il salto commerciale di vaste proporzioni. Esemplare, in tal senso, il singolo Louder Than Ever, dove il quartetto californiano sembra una versione indie dei Pearl Jam più pallidi.

Peccato, perché “Mine Is Yours” lascia intravedere delle buone capacità di scrittura, mortificate, però, da una confezione che gioca sui cliché, banalizzando anche le intuizioni più interessanti. I passaggi di maggiore rilievo si condensano in Royal Blue, funk-rock notturno e romantico, e in Cold Toes and Cold Floor, una litania sgangherata, claudicante, dimessa, che strizza l’occhio alle trilogia “Swordfishtrombones” – “Rain Dogs” – “Frank’s Wild Years” di Tom Waits. Ottima anche Bulldozer, che s’incammina lungo il sentiero della sperimentazione sonora tanto cara ai Radiohead, condendo il tutto con una trascinante interpretazione di Nathan Willett, il quale cerca di rievocare il pathos e il trasporto di Thom Yorke.

Sullo sfondo, però, ci sono i tanti momenti di dubbia consistenza. L’apertura del disco, ad esempio, è affidata alla modesta e anonima title-track, un fiacco esercizio di stile pop “generalista”, messo in piedi, cioè, per accontentare qualsiasi palato. Le cose non migliorano quando l’album acquista una piega marcatamente rock. Simboliche, al riguardo, Finally Begin e Skip The Charades, che, con le loro trame chitarristiche e la vocalità carica di intensa emotività, ricalcano in maniera pedissequa gli U2, finendo con lo scimmiottarne in modo scadente il sound atmosferico.

A conti fatti, malgrado evidenzi una buona padronanza di idee e strumenti, “Mine Is Yours” resta un album con luci ed ombre, una prova artistica che mescola momenti insipidi ad altri di buona fattura. Ad ogni modo, se questo è il massimo che l’alternative-rock americano è in grado di esprimere oggi, forse siamo davvero arrivati al capolinea.

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