Dolores Prato

Dolores Prato: torna un grande classico

Un grande classico della letteratura italiana di Dolores Prato, Giù la piazza non c’è nessuno, viene ristampato dalla casa editrice Quodlibet.

«Sono nata sotto un tavolino. Mi ci ero nascosta perché il portone aveva sbattuto, dunque lo zio rientrava. Lo zio aveva detto: “Rimandala a sua madre, non vedi che ci muore in casa?”. Ambiente non c’era intorno, visi neppure, solo quella voce. Madre, muore, nessun significato, ma rimandala sì, rimandala voleva dire mettila fuori della porta. Rimandala voleva dire mettermi fuori del portone e richiuderlo.»

Dolores Prato – Giù la piazza non c’è nessuno

«Alla Ginzburg sono sempre stata, lo sono e continuerò ad esserlo, gratissima. […] Lei ha sempre amato questo libro, con quelle manomissioni voleva renderlo più accessibile. Io salto i verbi come se qualcuno mi corresse dietro; i miei passaggi sono ponti levatoi mai abbassati; lei riduceva più intellegibile il mio modo di scrivere; ma io preferivo tenermi i miei difetti. Avevamo ragione tutte e due».

Sono alcune righe scritte da Dolores Prato nel 1980 al direttore dell’«Espresso», in risposta a un articolo in cui veniva definita «rabbiosa» nei confronti di Natalia Ginzburg. Alle spalle di questa precisazione c’è una vicenda editoriale divenuta pubblica: le oltre millecinquecento cartelle di Giù la piazza non c’è nessuno consegnate nel 1979, di fretta, dall’ottantenne Dolores Prato a Natalia Ginzburg, vennero ridotte, per esigenze editoriali, a sole trecento pagine, pubblicate da Einaudi nel giugno 1980. L’autrice, scontenta dell’edizione parziale, continuò a rivedere il testo e preparò un nuovo dattiloscritto, il quale venne pubblicato nel 1997 da Giorgio Zampa, nella versione integrale che qui riproduciamo.

Giù la piazza non c'è nessunoGiù la piazza non c’è nessuno racconta di un’infanzia primonovecentesca trascorsa ai bordi d’Italia (tra case e volti di Treia, un borgo dell’entroterra marchigiano), insieme a una miriade di oggetti e parole disperse, a uno zio mezzo prete, mezzo pittore, mezzo alchimista e a una zia nubile dalle strane acconciature, sorpresa a leggere e rileggere Madame Bovary. La bambina che guida la penna della vegliarda non ha mai saputo, non sa perché ha una madre che non si comporta da madre, essendo tale funzione esercitata da una zia che all’ufficio materno mal s’adatta. Lo zio fa da padre, manifestando un amore quieto e misterioso per la piccola che gli cresce accanto scostante, chiusa, restia a chiedere come e perché venisse allevata da quasi estranei.
A base del lavoro sta una serie smisurata di appunti e brogliacci accumulati dall’autrice nel corso di tutta la vita.

La forma prescelta è quella della «lassa» narrativa: una serie di tessere che mimano l’andamento divagante, occasionale degli appunti, ma s’incastrano l’un l’altra grazie a sottili riprese. La prosa così dimessa, feriale, aperta alle vivide suggestioni del parlato, è il risultato di una testarda disarticolazione delle strutture retoriche della tradizione italiana, quei «ponti levatoi mai abbassati», quei «miei difetti» a cui Dolores Prato non fu mai disposta a rinunciare.

Come leggere questo libro autenticamente fine secolo, questo capolavoro a rischio di oblio? Esso non è nato dal proposito di creare un organismo narrativo, di compiere «l’opera»; non è letteratura da azienda editoriale o da laboratorio universitario; meno che mai vuole riuscire gradito a chi guarda volentieri all’indietro o agli analisti del presente. Forse il modo appropriato per intenderlo, come annotava Giorgio Zampa, è considerarlo l’avvio di un’istruttoria contro ignoti. Nessuna commiserazione nei propri confronti, nei confronti di un’esistenza di reietta, di creatura venuta al mondo contro il volere del mondo, ma giudizi asciutti, magari duri, spesso ironici, su persone vicine; e dichiarazioni di amore illimitato. Se si volesse arrivare ad ogni costo a una definizione prossima alle motivazioni profonde della scrittrice, si potrebbe parlare di uno sterminato soliloquio, destinato a rimanere inascoltato.

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.