Un ricordo sentito ed appassionato di Alda Merini. Chi frequenta la zona Navigli a Milano si immerge in quella frenetica, confusa manifestazione di disagio, mascherato da divertimento a tutti i costi, che è la movida. Milano è cambiata molto e sta cambiando rapidamente ancora di più, in tutti i sensi.
I Navigli sono solo confusione, stordimento. Non sono più luogo di trani con vino a buon prezzo, né fumosi locali dove musicisti si incontrano per il semplice gusto di suonare insieme o sgangherati ritrovi di artisti e bohèmien. Non accade più di incrociare poeti e scrittori che passeranno alla storia. Non succede di avere al tavolino a fianco Pinketts con il suo immancabile cappello e altrettanto immancabile Negroni. Questione di generazioni e di tempo che passa.
Ma lontano dai clamori e dalla vetrina di luna park, resistono modesti, quasi timidi, quei luoghi di un passato anche recente che passano inosservati, se non li si conosce o li si va a cercare.
Capita così che in Ripa di Porta Ticinese e in via Magolfa, si rischi di non vedere che rispettivamente al civico 47 e al 32 ci sono due case dove bisognerebbe soffermarsi e dalle quali lasciarsi coinvolgere. Sono le scene della vita drammatica, tormentata, dimessa di Alda Merini.
Sono i luoghi che testimoniano la sua grandezza artistica ed umana, che trasmettono emozioni forti dalle quali bisogna lasciarsi pervadere.
In Porta Ticinese non c’è più l’appartamento che aveva abitato alla fine degli anni ’80, al ritorno in quella Milano che non riconosceva e non amava più “adesso è diventata una grassa signora piena di inutili orpelli”.
Ma in via Magolfa lo Spazio Alda Merini è la fedele ricostruzione di quegli spazi, dell’ambiente dimesso in cui ha vissuto. Oggetti sparpagliati, alla rinfusa, memorie e testimonianze. Mobili e arredi. Sono stati trasportati interi blocchi della parete che nella casa originale era alle spalle del letto e sulla quale Alda Merini ha disegnato, scritto, appuntato pensieri. Nomi e numeri di telefono annotati col rossetto.
“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera”
E’ la poesia più famosa ed espressiva che lei stessa dedica al giorno della sua nascita, 21 marzo 1931. Musicata, nel 2004 al Piccolo Teatro Strehler di Milano apre lo spettacolo “Milva canta Merini”. Indimenticabile lo struggente duetto con Alda Merini al piano insieme a La Rossa ad accennare Johnny Guitar, la sua canzone preferita. https://www.youtube.com/watch?v=B__CCFgnv10
Ogni parola che non siano le sue è superflua e inadatta. Scrivere di Alda Merini è una debole costruzione che si sgretola e svanisce al cospetto del suo essere poeta e scrivere di vita, della sua vita vissuta, patita e riscattata. Inutile ogni esposizione pedante e ripetitiva degli aspetti biografici ben noti e facilmente consultabili della sua esistenza.
Ha scritto tanto lei, tantissimo. Perché si scrive solo avendo dentro un dolore tremendo.
Vibranti, bellissime e intense emozioni scaturiscono dalle parole che usa e dal modo in cui le usa e le plasma nell’unico linguaggio che conosce e che le appartiene: la poesia. “La pistola che ho puntato alla tempia si chiama Poesia”.
Colpisce, penetra, percuote al primo approccio. Poi diventa amore profondo e impulso irresistibile a leggere periodicamente qualcosa di suo. A tenere sul comodino una sua raccolta per centellinarne pensieri, frasi, espressioni. Perché la donna Merini traspone nei suoi versi ogni emozione, ogni dolore, ogni scomodo pensiero, ogni gioia soffocata, tutte le avversità che accompagnano i suoi giorni, i baratri in cui precipita e ogni volta supera.
“Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.”
Capace di amare fin nel profondo, ciecamente:
“Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l’anima,
perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.”
Con un senso assoluto, viscerale del sentimento amoroso:
“fate l’amore e non vergognatevi,
perché l’amore è arte,
e voi i capolavori.”
Il suo stile è toccante perché ha radici nella sua stessa vita, non è ricercato, sgorga spontaneo, vigoroso o triste, melanconico o feroce, armoniosa confusione di immagini che si rincorrono e si fondono.
Ma sono anche versi che pulsano e fremono di un erotismo carico di desiderio di libertà e di pienezza. Senza ipocrisia, lucidamente vissuto.
“Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?”
La sua profonda sensibilità è l’artefice delle rinascite e dei crolli continui, delle speranze stroncate da realtà opprimenti e ingombranti. Una vertiginosa sensibilità che esprime con umanità le crisi e le lacerazioni esistenziali, riflessioni disincantate e pensieri leggeri. E in questo la capacità di rimanere aggrappata ai sentimenti, al piacere che la eleva oltre il dolore di situazioni penose.
“Il cielo della poesia non si arresta, anche se la persona fisica rimane assente, dimenticata in altri luoghi”.
In “L’altra verità. Diario di una diversa” ha una capacità di prosa di altissimo livello espressivo, crudo e penetra nel profondo delle vicissitudini personali del manicomio, dell’isolamento in cui riesce a trovare il modo di comunicare, di trovare gli altri, se stessa e amare.
“Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte”.
Alda Merini è personaggio complesso. E’ poetessa immensa perché la poesia è il suo linguaggio naturale. Essere poeti è saper intrecciare e sintetizzare in un linguaggio essenziale complessi ragionamenti sugli assoluti della vita. Il bene indissolubile dal male, l’odio dall’amore, il desiderio dalla realtà.
“I poeti non si redimono
vanno lasciati volare
tra gli alberi
come usignoli pronti a morire”
1 novembre 2009, dieci anni fa, è il suo ultimo giorno di vita, di questa vita.
“Se Dio mi assolve, lo fa sempre per insufficienza di prove.” E chissà come andrà a finire.
Casa delle Arti – Spazio Alda Merini via Magolfa 32, Milano T. 02.83969921 info@lacasadelleartiste.it
21 marzo Giornata Mondiale della Poesia