Gerda Taro

Gerda Taro: istante di libertà e rivoluzione di una vita

Gerta Pohorylle, in arte Gerda Taro, ritorna in vita nel romanzo La ragazza con la Leica di Helena Janeczek, pubblicato da Guanda nel 2017. Dopo quindici anni, il Premio Strega viene assegnato ad una donna (l’ultima fu Melania Gaia Mazzucco con Vita 2003, edizione Rizzoli) che racconta la storia di un’altra donna e foto-reporter tedesca (forse dimenticata), Gerda Taro. La sua bellezza, il suo sorriso eroico e felice vengono alla luce dalle parole intense della scrittrice italo-tedesca Helena Janeczek. Un romanzo che racconta la fotografia, e la fotografia che cattura la vita come un romanzo, quasi un documentario.

Per capire meglio chi era Gerda Tardo, dobbiamo immediatamente affiancarla ad Endre Friedman, ragazzo ungherese, che conosciamo tutti come Robert Capa, lo stesso che scattò la foto che la ritrae nella copertina del romanzo. Vicini, inseparabili come il clic-clac di un otturatore. Liberi di tutto, affratellati negli ideali e nei sentimenti, ma non uguali, diversi e complementari. Lo stesso Capa, che ha cambiato la storia della fotografia e del foto-giornalismo con il suo celebre scatto il Miliziano colpito a morte, The Falling Soldier. Quello scatto che non è altro che la versione contemporanea della fucilazione del 3 maggio 1808 di Goya. Questa volta è la fotografia che ferma nel tempo l’istante esatto in cui un uomo viene raggiunto da un proiettile mortale. The Falling Soldier fu pubblicata prima sulla rivista VU e poi su Life nello stesso 1936 in cui venne realizzata. La fotografia scattata durante la Guerra Civile Spagnola è quella che ha procurato a Robert Capa la fama internazionale e allo stesso tempo l’oggetto delle peggiori critiche a lui indirizzate. Si pensa infatti che la foto fu scattata da una sua assistente.

Torniamo al romanzo di Helena Janeczek, che nel 2018 oltre allo Strega vince anche il Premio Bagutta. Due donne, una scrittrice e una fotografa. La prima regista della narrazione, la seconda protagonista della storia della fotografia e non solo. Il primo agosto 1937 infinite bandiere rosse colorano il cielo di Parigi di commozione, è il funerale di Gerda Taro, la prima fotografa caduta in battaglia durante la guerra civile spagnola (1936-1939). Proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni (età purtroppo che non ha mai portato fortuna, ma raccolto epitaffi). Al Père Lachaise di Parigi Gerda arrivò seguita da un corteo funebre di migliaia di persone, tra cui Pablo Neruda, Paul Nizan e Louis Aragon, mentre Alberto Giacometti, con un Horus scolpito, le restituì pace eterna.

Facciamo un passo indietro per non perdere le coordinate della storia. Il libro della Janeczek si suddivide con alcune #coincidenze nel Prologo e nell’epilogo corredato anche da fotografie scattate dalla stessa Taro, Robert Capa, Fred Stein, Kati Horna, Marion Kalter.  Poi ci sono tre parti intitolate Willy Chardack, Buffalo, New York, 1960, Ruth Cerf, Parigi 1938 e George Kuritzkes, Roma 1960. Tre luoghi, tre personaggi, tre vite, due tempi (prima-dopo) che ruotano attorno a Gerda Taro. La prima e l’ultima parte del romanzo è legata da un filo affettuoso, amorevole nei confronti di Gerda.  Chardack, giovane studente di medicina e cavaliere asservente, Kuritzkes, ex-amante della Taro e impegnato nelle Brigate Internazionali, mentre Ruth Cerf, che rappresenta la parte centrale del romanzo, fu l’amica con cui visse i tempi più difficili a Parigi, dopo la fuga dalla Germania nazista. Gerda, in qualche modo, ha vissuto sempre la sua libertà, almeno fino a quando le fu permesso, attraverso le sue istantanee e la sua Leica, narrazione preziosa di quegli anni in preda alla crisi economica, l’ascesa del nazismo e l’ostilità verso i rifugiati in Francia (lei di famiglia ebrea- polacca), dove decise di scappare.

La ragazza con la leicaProprio a Parigi conosce quel Robert Capa, ebreo e comunista come lei. Capa l’uomo più incline a confondere realtà e finzione si è trovato nelle mani una prova: i fiori bianchi, la fioraia sorridente. Gerda che indossava la sua giacca di camoscio. Tutto in qualche modo sembrava possibile. Dentro il romanzo La ragazza con la Leica attraversiamo l’Europa con i suoi totalitarismi e indifferenze, dalla Germania alla Francia, passando per l’Italia e la Spagna per poi raggiungere le magnifiche sorti americane dell’agenzia fotografica più celebre al mondo, la Magnum Photos di cui Robert Capa fu il fondatore insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour (detto “Chim”), George Rodger e molti altri. Si intrecciano affetti, addii, delusioni, dispetti amorosi, rabbie e rivoluzioni. Un mosaico cubista oltre il tempo.

Bellezza e avventure sono gli ingredienti giusti per questa ricetta letteraria firmata da Helena Janeczek e fotografata dalle istantanee di vita di una donna che ci ha consegnato un modo diverso di guardare la vita, di catturare dentro la magica Leica una porzione di mondo, fatto di storia, rivoluzione, amore e persino morte. Quella morte che ha il sapore meccanico dei cingoli insanguinati di un tank repubblicano. Fra le bombe tedesche Gerda urlò al collega Ted Allan “ci vediamo stasera a Madrid, ho dello champagne!”, poi cadde dalla jeep. Taro, la biondina di ferro che Alfred Kantorowicz, storiografo tedesco volontario nelle Brigate internazionali, guardava affascinato girare in «pantaloni, berretto schiacciato sugli splendidi capelli biondo-rame e un elegante revolver alla cintola». Quel mondo così strano e potente che per afferrarlo si rischia persino di cadere per sempre nell’oblio della storia. La fotografia, arte indisciplinata e scatto “magico”, contenitore di bellezza istantanea fa risorgere la meraviglia della vita e con stupore ci lascia ammutoliti, senza fiato, dove persino i morti badano a se stessi. La nostra Gerda suona la Remington come uno Steinway.

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diGiorgio Cipolletta

Artista e perfomer italiano, studioso di estetica dei nuovi media. Dopo una laurea in Editoria e comunicazione multimediale, nel 2012 ho conseguito un dottorato di ricerca in Teoria dell’Informazione e della Comunicazione. Attualmente sono professore a contratto per corso di Fotografia e nuove tecnologie visuali presso Unimc. La mia prima pubblicazione è una raccolta di poesie “L’ombra che resta dietro di noi”, per la quale ho ricevuto diversi riconoscimenti in Italia. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo saggio Passages metrocorporei. Il corpo-dispositivo per un’estetica della transizione, eum, Macerata. Attualmente sono vicepresidente di CrASh e collaboro con diverse testate editoriali italiane e straniere. Amo leggere, cucinare e viaggiare in modo “indisiciplinato” e sempre alla ricerca del dono dell'ubiquità.