Inge Feltrinelli

Inge Feltrinelli: un ricordo “ibrido” tra libri e fotografia

La morte di Inge Feltrinelli ha colpito un po’ tutti nell’universo della cultura. Lei che aveva voglia di cambiare il mondo partendo dai libri, lei che era, almeno così l’aveva definita lo scrittore Amos Oz, “”un vero vulcano di idee, curiosità, gentilezza”. Crediamo sia possibile rileggere la figura di Inge Feltrinelli muovendosi nel territorio al confine tra più generi, ibridamente, contaminando in maniera positiva più mondi.

Intanto perché Inge Feltrinelli era figlia di ebrei tedeschi, nata in Germania nel 1930, è poi naturalizzata italiana. Nella sua vita c’è la storia del Novecento non solo italiano, ma europeo. Da subito è stata chiara la sua missione: “i libri sono tutto, i libri sono la vita”. Per cui Inge Feltrinelli ha perseguito la sua missione circondandosi di libri, scrittori ed editori, tanto da diventare Presidente della Casa Editrice Giangiacomo Feltrinelli. Alla sua scomparsa, l’intero Gruppo l’ha ricordata come “fonte quotidiana di ispirazione per le attività, guida esigente dallo sguardo innovativo, l’entusiasta promotrice di nuove attività come la diga più invalicabile a difesa dell’indipendenza e dell’autonomia della cultura e di tutte le manifestazioni di pensiero libero”.

Inge Feltrinelli però non era solo libri; nella sua vita hanno avuto una forte importanza l’arte, la moda, la creatività in genere. Con queste passioni ha animato il mondo intellettuale nazionale ed internazionale in cui è vissuta. Non molti sapevano che Inge Feltrinelli era anche fotografa e fotoreporter. Proprio grazie a questa attività ci furono incontri entusiasmanti con personaggi di alto livello, che lei ha descritto con quel pizzico di ironia che non le mancava.

Nel 1964, a Cuba, accompagnò il marito Giangiacomo nella residenza presidenziale, e lì fotografò Fidel Castro in pigiama. “Fidel Castro era carismatico, nonostante la voce stridula e una certa confusione ideologica. Ma anche con lui non accadde nulla, tanto più che andavo da lui con mio marito. Sulla terrazza teneva le galline e un canestro per giocare a basket. Ci rimproverò perché avevamo ospitato Virginio Piñera e altri intellettuali cubani omosessuali, e noi gli tenemmo testa. A casa di Castro ritrovai Gabriel Garcia Marquez. Avevo conosciuto un piccolo colombiano, poverissimo, di commovente sensibilità; trovai un uomo di successo che viveva come un tycoon hollywoodiano, tra lampade Tiffany e telefoni bianchi: il trionfo del kitsch. Tra Gabo e Fidel c’era competizione. Castro lo ammirava: grazie a lui scoprì la letteratura, prima non aveva letto nulla. Garcia Marquez lo pativa. Si sfidavano in gare di barzellette. Una provocazione continua”.

Del Gruppo 63 raccontò che “mangiava solo ostriche e beveva solo champagne”. Narratrice di un pezzo di storia, Inge Feltrinelli ha raccontato personaggi come Karen Blixen, Simone de Beauvoir, Kennedy (“Per ritrarlo mi imbucai a un party. Uomo straordinariamente sexy, passava di tavolo in tavolo per chiedere finanziamenti ad anziane signore. Lo fotografai mentre tentava di spennare Elizabeth Arden, coperta da un chilo di diamanti”), Greta Garbo, Chagall, Picasso. “Anche Pablo Picasso fu galante; ma io sempre brava ragazza tedesca. Era un piccolo diavolo affascinante e misterioso, un toro dagli occhi magnetici. Viveva in una villa vicino a Cannes, La Californie, in un disordine spaventoso, accudito dalla sua compagna Jaqueline, che gli era devotissima. Dopo la sua morte si suicidò”.

E poi, su tutti forse, l’incontro con Ernest Hemingway: “Mi corteggiò un po’; ma io ero una brava ragazza tedesca, e non mi lasciai andare. Divenni amica della moglie, passai con loro due settimane, in una Cuba poverissima, dove i bambini morivano per strada come a Calcutta. Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore del Vecchio e il Mare. Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni. Poi andavamo alla Floridita, dove in onore di Hemingway facevano il “Daiquiri doble a la Papa”: praticamente un’insalatiera. A tavola però beveva solo Valpolicella, l’aveva scoperto sul fronte italiano della Grande Guerra. Ci arrivò la notizia della morte di Stalin; Hemingway ne fu distrutto, lo trovai ubriaco sul pavimento”.

Inge Feltrinelli ha fatto conoscere in Italia non solo Doris Lessing o Günter Grass, ma un certo modo di fare cultura. E al suo fianco c’è sempre stato il marito Giangiacomo, fondatore della casa editrice e morto in circostanze poco chiare: “Certo non è stato un incidente. Fu un delitto politico. Giangiacomo fu assassinato; anche se non so da chi. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era diventato rivoluzionario perché aveva capito che con i libri non avrebbero cambiato il mondo, o almeno non abbastanza in fretta. Tentai di fermarlo. Lui mi lasciò. Nel mio diario scrissi: “He’s lost”, è perduto».

Foto di copertina: Euku, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

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diDonato Bevilacqua

Proprietario e Direttore editoriale de La Bottega di Hamlin, lettore per passione e per scelta. Dopo una Laurea in Comunicazione Multimediale e un Master in Progettazione ed Organizzazione di eventi culturali, negli ultimi anni ho collaborato con importanti società di informazione e promozione del territorio. Mi occupo di redazione, contenuti e progettazione per Enti, Associazioni ed Organizzazioni, e svolgo attività di Content Manager.