Vladimir Nabokov

Cinque imperdibili romanzi di Vladimir Nabokov

Lolita, Ada e tutto il resto. Detta così fa un po’ il titolo di quel vecchio album di Nek, mentre, in realtà, oggi vi vogliamo parlare di uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, ossia Vladimir Nabokov, nato il 23 aprile 1899 a Pietroburgo. Chissà se il mondo avrebbe mai conosciuto l’enorme talento di questo appassionato di scacchi ed entomologia – in realtà, Nabokov fornì proprio un contributo scientifico alla disciplina – senza la ninfetta Dolores Haze, senza Stanley Kubrick che l’ha portata al cinema per la prima volta (tra mille difficoltà) o senza Adrian Lyne e il suo remake degli anni Novanta. È giusto dire che il successo Nabokov l’ha raggiunto dopo il passaggio alla lingua inglese, anche se al periodo russo appartengono mirabili opere come Invito a una decapitazione – oggi viene riproposta una traduzione del ’59, redatta dallo stesso autore con il figlio per il mercato americano, la quale presenta delle differenze importanti rispetto all’originale in russo del ’35. Cosa leggere di Nabokov, quali sono i suoi scritti più belli? Noi ve ne proponiamo cinque, naturalmente una piccola selezione di titoli: per chi fosse interessato a un ulteriore approfondimento, Adelphi ha ripubblicato quasi tutte le opere dello scrittore.

L’INCANTATORE (1939 – qui la nostra recensione)

Prima di parlare di Lolita, bisogna parlare dell’Incantatore. «Primo, piccolo palpito», il libro ha come protagonista un vizioso quarantenne che riesce a introdursi in casa della sua giovane vittima e ne sposa la madre malata, sperando nel decorso rapido della malattia, cosicché egli possa, in veste di patrigno, “prendersi cura” dell’orfanella senza destare sospetti. Sì, per chi ha già letto Lolita questa storia è praticamente nota: eppure, è davvero curioso riscoprire le origini del mito della ninfetta, anche se, attenzione!, sarebbe un grosso errore considerare L’incantatore una mera prova. Esso è un testo indipendente, che, tramite il suo sfortunato ed instabile protagonista, riflette sugli strani scherzi del destino, sullo scarto esistente tra i sogni umani e l’inevitabile confronto-scontro con il reale.

LA VERA VITA DI SEBASTIAN KNIGHT (1941)

Primo libro scritto da Nabokov in inglese. Il narratore, V., cerca di ricostruire la vita del fratellastro, Sebastian Knight appunto, geniale scrittore nato a Pietroburgo nel 1899, studente a Cambridge all’alba della grande Rivoluzione russa del ’17. V. torna nei luoghi frequentati da Sebastian, legge i suoi libri, contatta gli amici, le donne che ha amato, nel tentativo di ricostruirne la vita. Ma cos’è, in fondo, La vera vita di Sebastian Knight? Un semplice romanzo? Il romanzo di una biografia? O un’autobiografia? Nabokov si è sempre definito «uno scrittore americano cresciuto in Russia, educato in Inghilterra, imbevuto della cultura dell’Europa occidentale»: senz’altro troverete molto di lui in questa lettura.

LOLITA (1955 – qui un nostro speciale)

Ci sono libri imprescindibili e Lolita è uno di essi. Questo romanzo è incredibile solo per la capacità del suo autore di creare un forte legame empatico tra il lettore e il disturbato Humbert, tanto da considerarlo quasi una vittima della perfida ninfetta, della sua stupida madre e del manipolatore Quilty. Un’opera immortale che oggi non farebbe più gridare allo scandalo, ma che, al tempo, ha causato non pochi problemi sia all’autore sia, come abbiamo detto in introduzione, a Kubrick, deciso a farne un film, a tutti i costi. Il lungometraggio fu soggetto a una pesante censura, tanto che enormi porzioni di romanzo furono sacrificate, con il pathos erotico ed emotivo davvero ridotto all’osso, nonostante gli sforzi di un ottimo cast, con un’ammiccante Sue Lyon, una talentuosa Shelley Winters (l’isterica signora Haze) e due straordinari attori quali James Mason (Humbert) e Peter Sellers, nei panni di Quilty (trentacinque anni dopo, invece, a Lyne fu concessa la possibilità di mostrare in maniera esplicita la relazione sessuale tra Lolita ed Humbert).

PNIN (1957)

Romanzo che riflette l’esperienza di Nabokov nelle università americane, tanto che molti dei personaggi richiamano persone realmente esistite. Lo stesso personaggio principale è ispirato a un professore della Cornell University, tale Marc Szeftel, che, notata l’effettiva somiglianza, si era pure risentito con l’autore. Il protagonista è un buffo professore russo, Timofey Pavlovič Pnin, esule negli Stati Uniti, che tenta quotidianamente di destreggiarsi tra avventure tragicomiche, causate dalla sua scarsa padronanza della lingua inglese e da usi e costumi molto diversi da quelli della sua terra. Una sorta di loser destinato a perdere tutte le sue battaglie, sia quelle famigliari sia quelle legate alla sua professione. Ma anche un personaggio dotato di una sua personalissima dignità, che Nabokov traccia con affetto, ironia e una punta di malinconia. Alcune parti di Pnin vennero pubblicate a puntate sul New Yorker, per essere successivamente integrate e rielaborate in vista della pubblicazione in volume.

ADA O ARDORE (1969 – qui la nostra recensione)

Ada o Ardore è uno dei libri più belli di Nabokov (al primo posto nella mia personalissima classifica di gradimento): a guardarlo ci si potrebbe un po’ spaventare, sono più di 600 pagine costellate da termini in francese e in russo (tranquilli, alla fine ci sono le note del traduttore). Il romanzo è anticipato da un albero genealogico che testimonia le origini di Ada e Van, cugini e protagonisti di una relazione sessuale durante la preadolescenza. Solo in seguito scopriranno di essere, in realtà, fratelli. Il libro copre un arco temporale molto lungo, segnato dalla passione tra Ada e Van e pure da momenti di lontananza, incomprensioni, litigi e ricongiungimenti. Ada è il libro del dettaglio, dove a ogni inezia vengono dati spazio e importanza: è un romanzo pressoché perfetto, una riflessione sull’amore, sul fatto che amare, nel senso più profondo e autentico del termine, è qualcosa di pressoché irripetibile («c’è qualcosa di misteriosamente esclusivo nell’amore» ha affermato Nabokov), che esula dall’aver avuto, nell’arco di una vita, più amanti – «bisogna pur passare il tempo, bisogna pur che il corpo esulti» diceva la canzone – e fatui innamoramenti.

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