Fredrik Sjöberg – L’arte di collezionare mosche

Non è facile trovare le parole per parlare di L’arte di collezionare mosche di Fredrik Sjöberg, pubblicato da Iperborea con l’ottima traduzione di Fulvio Ferrari. Sostanzialmente perché non c’è una trama, è semplicemente la storia di un uomo, Sjöberg, che appunto colleziona mosche. Ma, se così la mettiamo, la cosa risulta abbastanza riduttiva. Perché Fredrik Sjöberg le mosche non solo le colleziona, ma le studia, le osserva, le ha trasformate da irritante e schifoso insetto ad animale a cui tranquillamente dedicare un’opera letteraria.

Facciamo già una puntualizzazione: Sjöberg non studia “le mosche” in generale, bensì le sirfidi, che popolano una piccola isoletta svedese di circa quindici chilometri quadrati, dove lo scrittore ed entomologo si è trasferito a vivere, dopo una vita di viaggi e un’esperienza professionale presso il Teatro Reale di Stoccolma. L’editore che ha accettato di stampare un libro come L’arte di collezionare mosche dev’essere un po’ pazzo ma anche lungimirante, perché l’opera, pubblicata per la prima volta in lingua originale nel 2004, nel giro di una decina d’anni si è diffusa, conquistando una fetta sempre più grossa di entusiasti lettori. Perché il libro non è solo il racconto di un uomo che colleziona mosche: L’arte di collezionare mosche è la storia di un individuo che nel collezionismo ha trovato una propria dimensione umana, fatta di gesti lenti, di silenzio, di spazi ristretti che non sono una prigione, bensì un microcosmo sicuro, di cui si ha piena famigliarità.

Su Runmarö (questo il nome dell’isola) vissero anche Strindberg e René Malaise, e soprattutto quest’ultimo assume nel testo di Sjöberg un’importanza fondamentale. Malaise (fidanzato negli anni Venti del secolo scorso con la giornalista e scrittrice Ester Blenda Nordström) fu a sua volta un entomologo, famoso per aver inventato una trappola capace di catturare migliaia di insetti. Per Sjöberg, Malaise è un mito. Questo anche se la comunità scientifica lo derideva, in quanto Malaise passò buona parte della sua vecchiaia a teorizzare (e a tentare di provare) l’esistenza di Atlantide, scrivendo sull’argomento anche un libro. Ma Malaise fu anche un collezionista di opere d’arte, che, a metà degli anni Settanta, donò all’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Umeå un’interessante collezione di dipinti. Malaise morì nel ’78 e, prima che tutte le opere venissero trasferite, una notte dei ladri ne rubarono cinque, tra cui un Rembrandt, il cui destino anni dopo s’intreccia indissolubilmente a quello di Sjöberg.

L’arte di collezionare mosche va letto in un clima di assoluta tranquillità e silenzio, proprio perché è questa la modalità perfetta per gustare fino in fondo il contenuto del volume. Che, appunto, non è un romanzo, semmai una serie di riflessioni. Soprattutto, vi ritroverete a paragonare la placida vita di Sjöberg a quella movimentata di Malaise – che, in questo modo, diventa un «inafferrabile alter ego» dell’autore di L’arte di collezionare mosche -, chiedendovi cosa, in fondo, unisce due destini tanto diversi. Forse proprio il collezionismo, perché, anche se condotto in uno spazio di quindici metri quadrati, comunque spinge a una continua ricerca, allo studio, all’approfondimento costante, senza mai porsi limiti nelle aspirazioni e nel miglioramento dei risultati già ottenuti. Ed è così che una vita tranquilla si trasforma in un’avventura senza fine.

ISBN
9788870915426
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