Karen O – Crush songs

«Quando avevo 27 anni, mi capitava spesso di prendermi delle cotte», racconta Karen O. E il nuovo disco, Crush songs, nasce proprio da lì, dalle sbandate di una che non era «sicura che mi sarei innamorata di nuovo». C’è un che di adolescenziale in un’affermazione del genere, quell’assolutezza che solo i sedici anni possono permettersi di pretendere dalla vita senza sembrare ridicoli. Non a caso, continuando sulla stessa falsariga, la frontwoman degli Yeah Yeah Yeahs, nel mini-comunicato (scritto a mano) che lo accompagna, definisce il disco «la colonna sonora di quella che è stata una continua crociata amorosa».

Tutti gesti estremamente naïf, che fanno il paio con la musica: un folk scarno, sgranato, che veste piccole confessioni sull’amore a base di desiderio, rifiuto, promesse infrante, le quali, a tratti, sembrano persino incompiute (la lunghezza media dei pezzi è sul minuto e mezzo). Più che agli Yeah Yeah Yeahs, queste tracce (pubblicate dalla Cult Records di Julian Casablancas) fanno pensare ai Moldy Peaches, a quel folk lo-fi un po’ slacker dei primi anni Duemila fatto di suoni sporchi e tanta (finta) ingenuità.

In Rapt, il primo singolo estratto, si ritrovano tutti gli elementi del disco: la melodia che è una cantilena malinconica, la voce come un sussurro graffiato, l’accompagnamento minimo di chitarra – giusto qualche accordo strimpellato. Beast è ancora più dolente e sofferta, ma NYC baby chiarisce che non siamo in campagna e questi non sono gli anni ’60: Crush songs è un disco che sa di Grande Mela e di nuovo millennio, al punto tale che in Day go by ci si aspetta che spunti da un momento all’altro il crooning sgraziato di Casablancas.

 

L’elemento ritmico, in Crush songs, è praticamente assente, fatta eccezione per Visits, che poggia i suoi scarni tocchi di chitarra su una drum machine persino groovy, e Other side, in cui invece compaiono delle maracas pigrissime. In Native korean rock, invece, un synth viene adoperato giusto come sottofondo, tanto per ampliare un po’ la paletta di colori.

Insomma, Crush songs è un disco volutamente povero ed essenziale, una sorta di compendio delle relazioni sentimentali che sceglie di rimanere allo stadio di abbozzo per la paura che, a lavorarlo, qualcosa potesse andar perduto in termini di emotività. Da questo punto di vista, è un disco riuscito, e la sua fragilità, la sua tenerezza un po’ ruvida riesce (in parte) a compensare la sensazione che si tratti di un’operazione un pizzico autoindulgente.

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