Klaxons – Love frequency

“Nu-rave”: se ne parlava nel 2007, ai tempi dell’uscita del debutto dei Klaxons, Myth of the near future. Solo che quel “futuro vicino”, in realtà, era semplicemente passato rivestito a nuovo, con poche idee veramente incisive; di miti, neanche a parlarne. E così la bolla si sgonfiò presto, tanto che già tre anni dopo, ai tempi del secondo LP, Surfing the void, la band inglese decise di prendersi una boccata d’aria e di uscire dal chiuso delle discoteche per riabbracciare le chitarre e il caro, vecchio space-rock.

Ora, però, un pizzico di nostalgia deve aver rifatto capolino se Jamie Reynolds, James Righton e Simon Taylor-Davies hanno deciso di rilanciarsi sulle piste da ballo. Il loro terzo lavoro, Love frequency, è un mix di dance, pop e rock, con puntatine a “Madchester” (Children of the sun, prodotta con Tom Rowland dei Chemical Brothers), sprazzi di chitarre distorte (Rhythm of life), voci robotizzate come i maestri Daft Punk (New reality) ed una certa una vocazione atmosferica (Liquid light).

Il concept del disco è il presente: il manifesto è There is no other time, un anthem disco che paradossalmente ha la magniloquenza e lo sbrilluccichio di certe produzioni anni ’80. Anche Invisible forces pesca indietro nel tempo, al pop balearico, e si alimenta generosamente di un clima tra l’epico e l’estatico che costituisce tutto il tono del disco e forse il suo vero centro concettuale. Sembra insomma che quando cantano l’inevitabilità del presente («We are already here»), i Klaxons mirino a sublimarlo a colpi di beat, trasformandolo in una dimensione trascendente in cui la musica sia la “forza invisibile” che crea “il miracolo” (Show me a miracle, la loro versione dell’r&b). Da qui il titolo Love frequency, che allude alla necessità che la musica dei tre inglesi si (ri)sintonizzi sulle giuste frequenze, quelle dell’empatia e della contemporaneità. Il paradosso, però, è che il “ritmo della vita” (Rhythm of life) che definiscono a suon di sintetizzatori, drum machine e coretti, pur non essendo nostalgico, è troppo debitore dei cliché del passato per poter risultare efficace.

Insomma, non solo l’idea della musica come forza motrice dell’universo, che sottostà a tutto Love frequency, non è originalissima, ma neppure il suo sviluppo lo è. Le undici tracce si limitano a mettere in fila (bene) un mucchio di stereotipi, ma senza dargli quel soffio vitale che alla fine in un disco così spirituale non dovrebbe mancare. Ci prova un po’ Liquid light, uno strumentale con qualche sprazzo di Krautrock, ma è troppo poco. Il “ritmo della vita” dei Klaxons è un battito meccanico estinto da tempo, che sopravvive nelle forme di una eco gradevole che ha un potere evocativo, ma al passato. La sensazione è che le “frequenze” giuste, per Reynolds, Righton e Taylor-Davies, siano ancora lontane dall’essere rintracciate.

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