Matt Dillon: «Faccio una serie tv stile "Twin Peaks"»

«Oggi il cinema propone molti prodotti interessanti, ma vince l’intrattenimento. La televisione è più stimolante»: parola di Matt Dillon. L’attore, ospite ieri del Taormina Film Festival, è stato protagonista di una conversazione con il direttore artistico della rassegna, Mario Sesti, e con il pubblico, durante la quale ha parlato dello stato di salute del cinema e dei suoi prossimi impegni. Tra cui c’è proprio una serie tv.

«Ho appena finito di girare una miniserie per la Fox, si intitola Wayward Pines, un mistery drama dal romanzo di Blake Crouch, prodotto e diretto da M. Night Shyalaman, a metà strada fra Lost e Twin peaks, anche se è impossibile paragonarsi a David Lynch», ha rivelato Dillon. L’attore interpreta l’agente Ethan Burke, chiamato ad indagare sulla scomparsa di due federali nella cittadina di Wayward Pines, «un luogo idilliaco in cui tutto sembra funzionare alla perfezione. Ma dopo un incidente automobilistico non ho più i miei documenti né la mia identità, nessuno mi riconosce e non riesco a comunicare con il resto del mondo». «È avvincente – ha assicurato Dillon -, un dramma psicologico che sconfina nella fantascienza, un po’ stile Stephen King».

Dillon ha esordito al cinema nel 1979 (con Giovani guerrieri, di Jonathan Kaplan), ma il film che l’ha imposto all’attenzione del pubblico è I ragazzi della 56ª strada, di Francis Ford Coppola (1983). Nel suo curriculum, altri ruoli drammatici in pellicole come Rusty il selvaggio, sempre di Coppola (1983), Drugstore cowboy (1989) o Da morire (1995) di Gus Van Sant, o thriller come Sex Crimes – Giochi pericolosi di John McNaughton (1998), senza dimenticare commedie come In & out di Frank Oz (1997) e il cult demenziale dei fratelli Farrelly, Tutti pazzi per Mary (1998). Come è cambiato in questi anni il cinema? «È cambiato così com’è cambiato il mondo. Oggi nessuno porta più l’orologio al polso perché tutti guardano l’ora sul telefonino. La tecnologia, gli effetti speciali, il 3D hanno avuto gran parte in questo cambiamento», ha detto l’attore, che ha poi ricordato un aneddoto con protagonista un suo collega, Paul Newman: «Una volta mi disse: le superstar del cinema degli anni Settanta sono state due robot e uno squalo, ovviamente si riferiva a Star Wars e al film di Spielberg».

«Oggi il cinema fa più attenzione alle “cose” che alle persone». Fortuna, però, che esiste il cinema d’autore, che dà spazio alle storie e agli uomini. E il riferimento è proprio a La grande bellezza di Paolo Sorrentino, un film «vero e potente, specifico perché parla di Roma e dell’Italia, ma anche universale, con la storia di un uomo che a un certo punto decide di non stare più dietro a ciò di cui non gli interessa niente. Capita a tutti noi». Dillon ha esordito nel 2002 come regista, con City of ghosts, che non rimarrà un caso isolato. L’attore, infatti, ha annunciato di avere intenzione di tornare dietro la macchina da presa per un documentario incentrato sulla musica afrocubana e su uno dei suoi protagonisti, El Gran Fellove, scomparso l’anno scorso all’età di 89 anni. «È la storia di un grande cantante cubano degli anni Quaranta e della musica afrocubana, un brillante talento influenzato dal jazz americano dell’epoca e che diede vita a una vera e propria scuola», ha spiegato Dillon. L’attore ha confessato di lavorare al progetto da dieci anni: «È il bello dei documentari, puoi tornarci anche a distanza di anni e il lavoro è lì, che ti aspetta, per nascere un’altra volta».

Il video dell’intervista a Matt Dillon a Taormina:

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