Mogwai – Rave tapes

Tra le formazioni storiche del post-rock in circolazione, i Mogwai sono tra le più longeve. Il merito è presto spiegato: il cambiamento. La band di Stuart Braithwaite ha cambiato spesso pelle dai tempi di Young team (1997). Va detto che non sempre le tentazioni pop- o meglio, più legate alla forma canzone – e elettroniche che si sono affacciate lungo il cammino artistico degli scozzesi, sono state declinate in maniera lucidissima, ma tant’è: i Mogwai sono un classico. Nel bene e nel male, occorre farsene una ragione. Rave tapes, l’ottavo album di studio, pende decisamente nel campo del “bene”.

Niente di rivoluzionario: il disco è un perfetto compendio dell’arte della band, farcito di melodie intense, malinconiche e oniriche (Heard about you last night), con una forte componente elettronica a contenere il lavoro della sacra triade basso-chitarra-batteria (ma Hexon bogon morde proprio grazie alle sue distorsioni ribollenti). Qua e là si sente, in particolare, l’influsso del precedente lavoro, la colonna sonora della splendida serie tv francese Les revenants. Lo spettro di influenze, tuttavia, è ampio: Remurdered, il primo singolo, gioca su un arpeggio di tastierina ad 8 beat, ma ha una scansione ipnotica degna del Krautrock. Deesh, dal canto suo, punta su un lento e densissimo crescendo, guidato da tastiere “orchestrali”. Stesso copione per Blues hour: cantata con tono trasognato, interseca lievi tocchi di piano con l’elettricità delle chitarre, la quale esplode solo sul finale. È probabilmente il picco emotivo di Rave tapes.

Repelish, invece, sceglie un maggior distacco: il pezzo ruota intorno ad una “rilettura” dei presunti messaggi satanisti contenuti nella musica dei Led Zeppelin, e imbastisce un gorgo ipnotico di arpeggi chitarristici, linee di basso scure e bordoni ruvidi di synth. Anche negli episodi in fondo meno interessanti, insomma, i Mogwai riescono a tenere un equilibrio tra gli aromi e i toni davvero encomiabile. L’attenzione maniacale per gli arrangiamenti, le strutture, l’armonia, non soffoca la poesia: di Blues hour abbiamo già parlato, ma anche titoli come No medicine for regret e, soprattutto, The Lord is out of control, sono un bel colpo al cuore. L’ultima, in particolare, è una lenta processione con voci robotiche che quasi si disciolgono nelle manipolazioni chitarristiche. È la chiusura degna di un disco sorprendente, compatto: se Young team era il capolavoro adolescenziale, Rave tapes potrebbe tranquillamente essere considerato il capolavoro della modernità. Bentornati, Mogwai.

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