Jesu – Every day I get closer to the light from which I came

Con una discografia con titoli come Conqueror, Ascension e Infinity (per non parlare del nome), l’afflato estatico, la grandeur, il tono misticheggiante, gli Jesu ce l’hanno nel dna. Del resto, Justin Broadrick viene dai Godflesh (la “carne di Dio”), e quindi un certo tratto visionario se lo porta appresso da un po’. Per questo, la scelta di un titolo come Every day I get closer to the light from which I came per la sua nuova fatica, non deve stupire – perlomeno dal punto di vista semantico.

Sul piano lessicale, invece, il confronto con i titoli precedenti fa risaltare il profluvio di parole, quasi che, superata la fase più laconica, Broadrick abbia deciso che sì, adesso ci si può sbottonare un po’ (di più). Allo stesso modo, dal punto di vista musicale, il tono è più arioso: basta ascoltare Homesick, e confrontarla con l’impermeabilità di una Conqueror (che inaugurava l’omonimo LP del 2007), per comprendere che qualcosa è cambiato. Le chitarre mordono, è vero, ma un arpeggio tenero e la voce esile di Broadrick, come da titolo, caricano il pezzo di una nostalgia che le trame minimali, seppur via via sempre più oscure, sviluppano in direzione estatica. Eccola, la parola: l’estasi, la stessa che compare in Comforter, che apre con una serie di loop e vocalizzi per poi assestarsi su territori sigurrosiani.

Il tono di Everyday, la sua malinconia spettacolare (anche se resa con appena un arpeggio “stonato”, un basso oscuro ed una batteria metronomica), rimandano ad Early Day Miners e Mogway. C’è dolcezza, in queste note come in tutto Every day I get closer to the light from which I came: sicuramente, sul clima generale ha influito la recente paternità di Broadrick. Nello specifico, però, un contributo importante è arrivato da Nicola Manzan (alias Bologna Violenta), che ha curato le orchestrazioni. Sono quelle il pezzo forte di The great leveller, e riescono persino a sciogliere la ruggine delle chitarre doom.

La chiusura, epica e dolente, è affidata a Grey is the colour, che fluttua in un cielo notturno mozzafiato (anche qui segnato dalla scia dei Mogwai). Every day I get closer to the light from which I came è dunque un album che mostra l’altra faccia della luna-Jesu, il suo lato più sognante e composto (e pop – vedi Homesick), in cui il ritorno alla “luce” primigenia cui allude anche il titolo è un viaggio che ha il calore di un ritorno a casa.

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