Diciassette anni. Sembravano fossero ormai definitivamente fuori dal giro, i Mazzy Star. Protagonisti della stagione psichedelica degli anni ’90, David Roback e Hope Sandoval ci avevano lasciati lo scorso millennio con un Among my swan (1996) che era sì carino, ma certo non aveva la stoffa dei precedenti due lavori, i cult She hangs brightly (1990) e So tonight that I might see (1993). Adesso, ad un’era geologica di distanza (il tempo, nel pop, corre il doppio), ecco questo Seasons of your day, che non segna né un’evoluzione né un ritorno alle origini, è “semplicemente” un disco di canzoni ben fatte, un po’ intense e un po’ soporifere, ma sempre di classe.
Rispetto al passato, Sandoval e Roback evidenziano maggiormente la componente blues del loro songwriting. Soprattutto, la chitarra di Roback (acustica o elettrica che sia) gioca parecchio con lo slide, e in generale si abbandona a qualche progressione che ammicca in più d’una occasione ai Led Zeppelin (vedi California e lo stomp di Flying low). Le atmosfere, però, sono sempre delicate, soffuse. Does someone have your baby now, ad esempio, gioca con la malinconia del country e I’ve gotta stop è un lento di sicura atmosfera – per non parlare della title track , che si dispiega lenta, cullata da un arpeggio folk e macchiata appena dagli archi, con la voce della Sandoval che sembra quasi non sia stata intaccata dal tempo.
In Common burn è l’armonica a dare qualche colorazione in più ad una trama “minima”, tra suoni acustici ed elettrici. Altrove, tocca invece ad organo (In the kingdom) e tastiere (il valzer country di Sparrow) spezzare l’uniformità degli arrangiamenti. Seasons of your day vive di piccoli momenti, di fraseggi essenziali intrecciati tra loro: è anti-spettacolare e dimesso, ma quando il mix sfugge all’autocompiacimento (la visionaria Spoon, Common burn, l’ipnotica Flying low), lascia intravedere delle possibilità intriganti.
Peccato, però, che Sandoval e Roback si limitino per lo più a confezionare un buon prodotto, rinviando a data da destinarsi l’esplorazione dei recessi più oscuri della loro musica. Seasons of your day poteva essere un comeback con i fiocchi, dotato cioè di senso all’infuori dell’operazione-nostalgia. Così, invece, è poco più che un fremito malinconico cui abbandonarsi (con piacere) quando si ha bisogno di sentirsi a casa.