Crystal Fighters – Cave rave

Tutta colpa degli Arcade Fire se la retorica ha ripreso quota nel pop. Mentre però Win Butler e soci possono permettersi progressioni enfatiche e ritmi marziali senza scadere nel ridicolo, lo stesso non si può dire per molti di quelli che si ostinano a seguirne le tracce. I Crystal Fighters di Cave rave, ad esempio: patetici non lo sono, ma vacui sì. Per scrivere le canzoni di questo suo secondo disco (il primo, Star of love, è del 2010), la band basco-inglese si è trasferita nella regione dell’Euskadi ma, col senno di poi, sarebbe stato meglio risparmiare sulla benzine.

Il piano di partenza era concentrare, nelle dieci tracce in scaletta, la tradizione etno-folk e l’elettronica ballabile, con l’aggiunta di una buona dose di ruffianaggine pop, necessaria per stare nella parte alta della classifica. Il punto, però, è che il mix è superficiale: nei momenti migliori si traduce in una banale riscrittura dei Vampire Weekend (LA Calling), in quelli peggiori suona come dei Mumford & Sons (No man) all’occorrenza sepolti sotto chili di elettronica zuccherosa e inutilmente enfatica (Are we one). Il sentimentalismo in salsa tropicale di You and I è persino troppo naïf per essere vero. Love natural ci prova a buttarla sul fisico, sulla joie de vivre estiva, ma ne ricava un anthem ad uso e consumo dei villaggi turistici.

Tutto troppo facile, insomma. I Crystal Fighters rimangono ad un livello prepuberale, in cui tutto è capriccio e non ci sono responsabilità. Basta ascoltare Wave per rendersi conto di come la band anglo-spagnola abbia le unghie abbondantemente spuntate, tali da non impensierire nessuno al contatto. Separator, invece, è un’occasione sprecata: bead dance e afro sembrano andare d’accordo, ma una sostanziale immaturità impedisce al pezzo di scollarsi dai cliché più facili del brit-rock (l’assonanza con Common people dei Pulp è notevole).

In definitiva, a Cave rave mancano profondità, spessore, una prospettiva che vada un po’ più in là di un refrain zuccheroso, di qualche scontato vagito hip-hop/r’n’b (These nights, Everywhere), di un’esuberanza fragile, estemporanea, presumibilmente destinata a non sopravvivere al cambio di stagione.

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