Dino Buzzati – Il deserto dei Tartari

«L’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno»: è per quel momento che l’ufficiale dell’esercito Giovanni Drogo scruta ogni volta l’orizzonte dalla Fortezza Bastiani. Attende con ansia una guerra con le genti del nord: ogni volta che a lui o al colonnello Simeoni pare di scorgere un movimento tra le fila nemiche, l’aria si carica di grandi aspettative. Ma, per dirla con lo stesso Dino Buzzati, è «un eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo». Il deserto dei Tartari (1940) è il romanzo dell’attesa che va in cancrena, della vita che scalpita per ricongiungersi con il suo senso profondo, in un deserto senza speranza.

Buzzati ambienta la parabola di Drogo in un clima fiabesco, irreale. Sulle prime, l’ufficiale è desideroso di trasferirsi al più presto. Ogni volta, però, rimanda la partenza: la Fortezza, i suoi ritmi lenti, il mistero che si cela dietro l’orizzonte, lo chiamano a sé e lo ipnotizzano, gli rendono la fuga impossibile. Del resto, le brevi parentesi trascorse in città si rivelano piuttosto deludenti, come se tra lui e il mondo fosse ormai calato «un velo di separazione».

Drogo trascorre così le giornate compiendo le ordinarie manovre militari: la morte del soldato Lazzari, cui un commilitone spara credendolo un nemico, e quella del tenente Angustina, ucciso dal freddo nel corso di un’operazione di delimitazione dei confini, sono incidenti che scuotono appena il torpore della Fortezza. Alla fine, Drogo si scopre improvvisamente vecchio e malato: ironia, la guerra è ormai alle porte, ma lui non riuscirà a vederla. Muore solo, in una pensioncina, lontano dai campi di battaglia: l’unica missione rimastagli, ormai, era quella di affrontare la morte senza paura, e la porta a termine con successo.

Buzzati, in un’intervista, confessò che l’idea per il romanzo gli era venuta dal lavoro nella redazione del Corriere della Sera. «Molto spesso avevo l’idea che quel tran-tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita»: Il deserto dei Tartari trasferisce questo sentimento in un microcosmo esotico sospeso, a-storico, fatto di paesaggi aridi e uomini senza passato e senza futuro. Facile vedere riflesse nel libro certe istanze kafkiane ed esistenzialiste (solitudine, alienazione, angoscia): Buzzati le rielabora a modo proprio, consegnandoci una favola metafisica di struggente intensità e silenziosa bellezza, che si colloca a pieno titolo tra i capolavori della letteratura.

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