Walter Hill – Jimmy Bobo. Bullet to the head

Sylvester Stallone e Walter Hill sono archeologia. Sul corpo del primo, un tempo scolpito e unto sino all’inverosimile, s’è consumata la parabola di un’America che, al tappeto dopo il tragico “errore” (eufemismo) del Vietnam, ha trovato la forza di rialzarsi e dichiarare guerra al mondo – l’altro, quello oltrecortina (Rambo, Rocky, fate voi). Ora, però, i muscoli sono inevitabilmente fiacchi e l’auto-ironia sopperisce ai limiti d’elasticità e vigore – non di recitazione, ché quelli nel caso di Sly sono strutturali e anzi costitutivi del personaggio. Incalza la modernità, con il suo corredo di cinismo ipertecnologico, che si fa beffe di quei modi e tempi tradizionali, anche filmici, di cui Hill, autore di pellicole come 48 ore e I guerrieri della notte, è uno dei più puri rappresentanti. I due, insomma, sono dei sopravvissuti, esattamente come quei Mercenari su cui s’è imperniata la carriera dell’ultimo Stallone, evidentemente alle prese con la fase auto-celebrativa, che solitamente precede il sipario su ogni ipotetica velleità “artistica” (ripetiamo, non è il caso del nostro). Viste le premesse, logico guardare con diffidenza a Jimmy Bobo – Bullet to the head. Tuttavia, la neonata coppia Stallone-Hill non solo fa centro, ma conquista, con senso del ritmo, azione e humor.

La differenza rispetto al succitato Mercenari (uno o due, anche qui fa lo stesso) è ovviamente nel manico: la sceneggiatura di Hill e dell’italiano Alessandro Camon (basata sulla graphic novel di Alexis Nolent, Du plomb dans la tete) è solida, robusta. Gioca con i cliché del genere, anche i più triti, a cominciare dalla coppia di protagonisti, il killer Jimmy Bobo (Stallone) e il detective Taylor Kwon (Sung Kang), che si trovano a lavorare assieme per incastrare il boss Robert Morel (Adewale Akinnuoye-Agbaje). Lo stile è quello del “buddy movie”, insomma (il riferimento è proprio 48 ore), con Stallone che dà vita all’ennesima variazione sul tema del duro dal cuore d’oro (con tanto di figlia) e Kwon che rappresenta il suo opposto, il poliziotto ligio alle regole e con la mania della tecnologia. Tra una sparatoria, una scazzottata, un’esplosione e l’altra, i due scopriranno il solito nugolo di malaffare e corruzione tra le alte sfere. Vinceranno, ovviamente, perché in questi film i “buoni” (o i meno “cattivi”) vincono sempre, e lo scontro finale rappresenta in un certo senso la rivincita del “vecchio modo” contro il nuovo cinema action. “Vogliamo combattere, o pensi di farmi morire di noia?” chiede Sly al “collega” Keenan, il mercenario al soldo di Morel che ha ucciso il suo partner, Blanchard.

Non c’è dunque novità in Jimmy Bobo – Bullet to the head, solo il piacere della messinscena da parte di due vecchi marpioni del cinema action di una volta. Attenzione: senza nostalgia. Qui non si scade nel patetico, anzi: ci si diverte, e di gusto. Una cosa che non capita poi tanto spesso al cinema oggi.

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