Crystal Castles – (III)

Ethan Kath e Alice Glass, meglio noti come i Crystal Castles, hanno attirato attorno a loro – nel giro di soli due anni e con altrettanti album all’attivo – le attenzioni di una larga fetta della critica internazionale, nonché di un vasto e variegatissimo pubblico. Parlare di hype sarebbe quantomai riduttivo per quello che si è dimostrato essere un autentico fenomeno, animato da una proposta in grado di unire accessibilità e sperimentazione.

Eppure, il duo di Toronto ha mostrato sin dal principio il suo punto debole nel voler sempre superare se stesso, con il risultato di eccedere spesso e volentieri in “estremismi” gratuiti, perdendo di vista quel minimo di sobrietà (e, perché no, umiltà) che da sempre distingue i talenti dai big. In questo terzo disco in studio, che prosegue e assoda definitivamente la tradizione del numero progressivo a mo’ di titolo, i Crystal Castles sembrano proprio cercare quel fattore che è sempre mancato alla loro musica: l’equilibrio. Da un lato, questo depone a loro favore, consentendogli di partorire l’album più compatto e personale, a conti fatti il più riuscito, della loro ancor breve carriera. Dall’altro, però, segna un netto ridimensionamento delle loro quotazioni, a causa dell’inevitabile rinuncia al lato prettamente sperimentale della loro formula.

Si dimentichino dunque le violenze sfacciate del primo disco e il cyber-punk postmoderno del secondo: i nuovi Crystal Castles sono interpreti di un “indietronica” fresca e colorata, cosparsa di suoni sintetici iniettati in un ambiente atmosferico e dall’umore variabile. Quando quest’ultimo assume le tinte della disperazione, ne escono le disfunzioni vocali di Kerosene e le urla imploranti di Pale flesh, mentre nei siluri di Sad eyes e nelle sincopi dell’iniziale Plague, la tensione assume i contorni positivi. Lo spettro emotivo è in realtà ben più ampio, tanto da attraversare spensieratezza (Affection), malinconia (Child I will hurt you), serenità (Wrath of god) e rancore (il breve ritorno al passato di Insulin) con la medesima abilità.

Al terzo tentativo, i Crystal Castles riescono nell’intento di forgiare un sound personale e riconoscibile senza la necessità di spingersi oltre le proprie possibilità. Per quanto possano continuare (e, ne siamo sicuri, lo faranno) a infiammare i loro fan proponendo – specialmente nei loro concerti – l’immagine dei “ribelli buoni”, i due si mostrano oggi per quel che sono veramente: degli abilissimi artigiani del pop più sofisticato e tecnologico, dotati di una personalità notevole ma non certo di un particolare genio creativo. E, in fin dei conti, li preferiamo così: ottimi per davvero anziché eccezionali per finta.

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