Jean-Luc Godard – Il disprezzo

Un’inquadratura fissa su un esterno, un gruppo di persone laggiù in fondo. La musica di Georges Delerue introduce il film, accompagna i titoli di testa che vengono letti da una voce fuori campo – è geniale Godard. E mentre la voce fuori campo procede coi titoli, la troupe – perché laggiù c’era una troupe – si avvicina, sempre di più, finché eccola in primo piano, ecco in primo piano il cameraman. E la voce continua: «il cinema – diceva Bazin – sostituisce il nostro sguardo con un mondo più in sintonia con i nostri desideri. Il disprezzo è la storia di questo mondo», mentre la macchina da presa si rivolge su noi, ci guarda. Il film siamo noi.

Nella scena successiva, Brigitte Bardot e Michel Piccoli sono distesi su un letto, le loro voci basse, quasi soffocate dalle note di Delerue che le accompagnano. Questo segmento fu censurato nell’edizione italiana del film, così come fu cambiata la scena iniziale. Nella versione italiana, curata da Carlo Ponti, i titoli di testa non erano letti da una voce fuori campo, la scena sul letto con Brigitte Bardot e Michel Piccoli non c’era – non c’erano le cose migliori, insomma: così Godard disconobbe il film.

«Allora mi ami totalmente» dice Camille a Paul, distesa accanto a lui sul letto, quasi a cercare una conferma. «Sì, t’amo totalmente, teneramente, tragicamente», le conferma Paul. «Anch’io», le risponde lei. Eppure di lì a poco, per una sbadatezza di Paul, ha inizio la storia del loro disamore, la storia del disprezzo. La storia che dice tutto sull’inconoscibilità dell’altro, per quanto vicino sempre troppo lontano per poter esser conosciuto. Il disprezzo, film ispirato all’omonimo romanzo di Moravia, è insieme la storia di un amore che finisce, di uno scrittore che rinuncia ai suoi sogni e si piega a scrivere una sceneggiatura per il cinema (nonostante il ripensamento finale), di un produttore che vuole travalicare il regista (Fritz Lang nel ruolo di se stesso), di un regista che si lagna del produttore che usurpa un ruolo non suo, ed infine dell’Odissea e di come Ulisse non tanto non poteva quanto non voleva tornare ad Itaca, perché con Penelope era infelice.

Il disprezzo è tutto questo insieme. Un film fatto di temi che s’intrecciano, un film in cui tutto è al posto giusto e combacia fino in fondo – nella versione originale, s’intende: perché dell’edizione italiana, coi suoi colori più spenti, le scene tagliate, la musica sconvolta, il finale diverso, non ci resta che piangere. Sembra quasi un paradosso: Il disprezzo, un film che denuncia l’eccessivo potere dei produttori, finisce per essere la prima vittima dei meccanismi che mette in scena.

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