Orson Welles – Quarto potere

«No trepassing» è il cartello che apre e chiude il film più citato, quello che ha segnato la storia del cinema: Quarto potere di Orson Welles (1941). C’è sempre qualcosa di insondabile e di segreto nella vita di una persona: «non basta una parola per spiegare il mistero di un uomo». La macchina da presa scorre lungo la cancellata mentre sullo sfondo, oltre le sbarre, compare l’imponente residenza Xanadu (Candalù, nella versione italiana), voluta dal magnate dei giornali Charles Foster Kane, interpretato dallo stesso Welles. Una palla di cristallo con la neve scivola dalla mano del vecchio e morente protagonista e si frantuma di fronte alla telecamera. L’ultima parola pronunciata, “Rosabella”, innesca la storia.

Chi era davvero Kane, qual era il suo segreto nascosto fino e “oltre” la fine? Il giornalista Jerry Thompson è deciso a scoprirlo, intervistando le persone che sono ruotate attorno a Charles durante tutto l’arco della sua vita. Welles ci racconta l’ascesa e la caduta del magnate. Adolescente, eredita una miniera tramite la madre e viene da questa affidato ad un tutore, affinché ne curi l’educazione. Il giacimento in origine è dato per improduttivo, ma presto si scopre assai ricco. Nonostante tutto, Keane sceglie ben presto di rinunciare alla gestione del suo impero finanziario per dedicarsi al giornalismo: rileva l’«Inquirer», sull’orlo del fallimento, portandolo al massimo della tiratura con titoli, articoli e prese di posizione populiste. Per il tycoon cominciano, però, anche i rovesci: il fallimento della campagna come governatore di New York nel 1916, l’abbandono da parte della prima moglie (morta in un incidente automobilistico con il figlio di Kane due anni dopo), il naufragio delle seconde nozze con una cantante lirica, la crisi finanziaria del ’29. La morte lo coglie solo e stanco, prigioniero di un volontario esilio.

Welles viola la grammatica classica del cinema con inquadrature di soffitti, immagini deformate, luci ed ombre espressioniste e profondità di campo. Attraverso la tecnica del flashback, scompone e ricompone l’“esagerata” vita di Kane (figura modellata su quella del tycoon William Randolph Hearst), un gigante “bulimico”, circondato da specchi, statue, animali e ogni sorta di cimelio raccolto in giro per il mondo, feticci di un potere che sacrifica ogni affetto. Ne ricava una riflessione critica sulla società capitalistica americana della stampa, sui messaggi e sugli strumenti dell’informazione. Ma c’è dell’altro. Welles comunica ed esprime l’invisibile “oltrepassando” il divieto del visibile: eleva il film al rango di opera d’arte e il racconto cinematografico ad un’accattivante e moderna riflessione filosofica.

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