Guido Rampoldi – L’acrobata funesto

Cosa condividono un analista dei Servizi segreti e un bambino dotato di incredibili doti acrobatiche? Quest’ultimo è in uno studio televisivo e attende il suo turno a un importante talk show ma, appena entrato nella sala, inizia a levitare. Nessuno riesce a capacitarsi dell’accaduto, tuttavia la rete inizia a parlarne. All’analista della CIA, invece, sono stati prescritti uno stile di vita tranquillo e un lavoro di routine a Roma, per riprendersi dal DPTS, Disturbo Post-Traumatico da Stress, «un dolore senza origine e senza oggetto», tipico dei reduci dalle guerre ipermoderne.

Un giorno, sopra la sua scrivania, l’analista trova una cartella che riconduce al bambino, definito “l’acrobata funesto”: chi è questo autentico dono (o scherzo?) della natura? Un semplice prodigio capace di balzi innaturali, o una «creatura sognata, il prodotto allucinatorio di una suggestione collettiva»? Il dossier è composto da rapporti di polizia, pagine di diario e frammenti da un blog; la lettura di questo materiale conduce verso patrie lontane, in luoghi di complotti, cospirazioni, dove la disinformazione viene sfruttata dai politici per ottenere il controllo. La rete diventa il luogo ideale «per far crescere giungle di specchi», e forse è proprio lì che si nasconde l’acrobata.

All’apparenza, L’acrobata funesto sembra un semplice romanzo di spionaggio: a suggerirci tale idea è la figura dell’analista, capace per lavoro di organizzare colpi di stato e decine di altre azioni più o meno esemplari, ma incapace di fare i conti con la propria coscienza marcia; l’esaurimento nervoso che lo colpisce è il male che affligge tanti soggetti coinvolti nelle recenti guerre, dal Vietnam all’Afghanistan. Agli occhi dell’autore, l’impenetrabilità del mondo e l’incapacità umana di controllarlo sono ben delineate nel microcosmo Italia, dove tutto è «pubblico, gridato e esibito», eppure proprio per questo difficile da capire a fondo, perché le cose esibite esprimono la generale tendenza a nasconderne delle altre, più importanti. Le attività di governo richiedono segretezza, “uno scudo e una corazza” che il nostro paese non possiede: è un compito difficile, per un agente della CIA, mantenere i segreti nella città eterna.

Guido Rampoldi è un giornalista che di Medio Oriente se ne intende, avendolo studiato e girato per venticinque anni in veste di inviato per «La Stampa» e «La Repubblica». Nel suo libro parla di un mondo diverso da quello concepito trent’anni fa, in cui continuano a muoversi sostanzialmente le stesse autorità politiche, incapaci di riproporre nuovi modelli e forme di rinnovamento. Non si tratta solo di politici, ma anche di altre categorie di persone, ferme all’interno di schemi precostituiti, con un occhio fisso sul passato, quando invece dovrebbe essere proiettato al futuro: dinosauri da distruggere, gli stessi citati dal professore ne La meglio gioventù. L’opera di Rampoldi non ha una vera e propria conclusione ma, giunti all’ultima pagina, i lettori sono coscienti di trovarsi di fronte a un nuovo inizio, spinti a riflessioni profonde che conducono a verità soggettive: perché la «verità ormai è quella cosa che comincia in un modo e finisce in tutt’altro».

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