Elsa Lewin – Io, Anna

Era da tanto, troppo tempo che non leggevo un romanzo così intenso e insieme così terribile.

Io, Anna, dell’esordiente Elsa Lewin, edito Corbaccio, può essere benissimo venduto come un thriller – del resto l’elemento suspense c’è tutto –, ma in realtà è narrativa pura, della migliore in circolazione; non è un caso se in Inghilterra i diritti del romanzo siano stati acquistati dalla Serpent’s Tail, casa editrice famosa per la qualità delle sue pubblicazioni e il prestigio letterario degli autori pubblicati.

Al di là della storia, l’elemento preponderante, quello che più mi ha sbalordita per le punte di eccellenza raggiunte dall’autrice, è senza dubbio la caratterizzazione dei personaggi, un’introspezione psicologica talmente acuta e penetrante da mettere in secondo piano tutto il resto, persino l’evolversi delle vicende narrate. La Lewin non incorre mai nell’errore, tipico della maggior parte degli esordienti, di banalizzare i concetti espressi, cadendo così negli stereotipi; al contrario, riesce ad asservire la lingua ai suoi scopi, facendo sì che tutte le parole scelte, finanche le più comuni, aderiscano perfettamente alla complessità psicologica dei personaggi, soprattutto Anna e Bernie, i protagonisti. Leggendo la biografia della Lewin, non mi ha affatto sorpreso scoprire che di mestiere fa la psichiatra. La bravura nel tracciare profili psicologici realistici e inquietanti, tuttavia, non implica necessariamente un eguale talento nel narrare; la Lewin possiede entrambe le qualità nella loro espressione massima: magistrale è il “viaggio” nella mente di Anna che l’autrice inserisce in uno dei capitoli finale, un monologo interiore sinistro, angosciante, perfetto nella sua contraddittorietà, nella tristezza, nei non-sensi e nel simbolismo che lo contraddistinguono.

Anna Welles è una donna come tante: bionda, mite, colta, garbata, alle soglie della mezza età ma ancora piacente, eppure disperata. Nasconde infatti un dramma comune a molte donne: l’abbandono da parte del marito per un’altra donna più giovane e spensierata. Se molte donne tuttavia riescono a farsene una ragione, cambiando il proprio stile di vita e riscoprendo passioni giovanili che credevano ormai estinte, Anna invece precipita in una cupa depressione accentuata dal distacco dalla figlia ormai grande, che ha deciso di rifarsi una vita lontana dai fantasmi di una famiglia ormai distrutta. Per ingannare il tempo libero dal lavoro, frequenta party per single alla ricerca di una compagnia che la faccia sentire, se non meno triste, almeno meno sola. All’ennesima festa cui si trascina senza reale entusiasmo, solo per non subire l’assordante silenzio serale del proprio appartamento, conosce un uomo. Poche chiacchiere, qualche drink e la donna lo segue nella sua abitazione, dove tra uno un paio di spinelli e dell’assordante musica Jazz finiscono a letto, a fare quell’amore senza amore che molti chiamano sesso. Quando esce dall’appartamento, a notte fonda, Anna è in una sorta di trance: dietro di sé lascia un cadavere e il suo fedele ombrello giallo.

Sempre la stessa notte, incrocia per la prima volta Bernie, integerrimo ispettore di polizia e marito infelice, che vaga per la città alla ricerca di un posto dove dormire dopo che la moglie l’ha buttato fuori di casa. Il loro incontro scatena l’attrazione istintiva e inconsapevole che spesso lega due anime affini, tormentate da una sofferenza diversa eppure simile, ugualmente devastante. Non potrebbe esserci momento più sbagliato, per incontrarsi, perché Bernie è l’uomo che deve indagare sull’inspiegabile, efferato omicidio di un uomo di mezza età trovato molto nella sua abitazione, picchiato selvaggiamente nelle parti basse dopo un violento amplesso…

In definitiva l’autrice prende un argomento molto abusato nella letteratura di genere e non – quello della donna dipendente, infelice e abbandonata, incapace di staccarsi dal passato – e ne fa un ritratto femminile tra i più vividi e complessi mai tratteggiati, scavando nella psiche per raggiungere profondità scandalose, abissi che danno le vertigini perché ignoti, imprevedibili, sostanzialmente imperscrutabili. Tutti gli esseri umani, anche i più forti, hanno paura di perdere il controllo, ed è proprio su questa paura che fa leva la Lewin per destabilizzare il lettore. La rende reale, a tratti palpabile. La rende possibile. Non sorprende che il romanzo diventerà presto un film con protagonisti i bravi Gabriel Byrne e Charlotte Rampling.

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