Il rumore dei baci a vuoto è l’ultimo lavoro letterario di Luciano Ligabue, una raccolta di tredici racconti, schegge che il cantante ha scritto negli ultimi anni. Dopo Fuori e dentro il borgo (1997), La neve se ne frega (2004) e Lettere d’amore nel frigo (2006), con questo libro si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad uno stile finalmente maturo. C’è un’enorme distanza tra la scrittura musicale di Ligabue, aggressiva e rock, e quella delicata, a tratti romantica, intima, attenta ai particolari, che Luciano adopera nella sua letteratura. In tal senso, la struttura del racconto (inteso come genere letterario) è stata sicuramente utile a Ligabue per uscire dagli schemi della forma-canzone, facendogli guadagnare un’altra dimensione in cui dare libero sfogo alla sua fantasia. Alcuni dei racconti si potrebbero quasi definire “storie dell’assurdo”, con il finale a rappresentare una svolta netta e decisa della vicenda verso il paradossale. Ci domandiamo così come sia possibile, per alcuni personaggi, vivere sfidando la sorte ogni secondo, affidando tutto al caso; ci chiediamo se un auto ferma al verde del semaforo si sposterà mai; rimaniamo in biblico tra la realtà e la leggenda di bambini spavaldi, impauriti e coraggiosi; attraversiamo fiumi che portano chissà dove senza sapere veramente chi sia il nostro compagno di viaggio.
Gli spunti “fantastici”, però, sono intervallati da sprazzi di dura realtà, che rendono il libro ben saldamente ancorato al quotidiano. Del resto, sono proprio le cose della vita di tutti i giorni che spesso evidenziano crisi latenti, che, “complici” magari un cane ed un gatto, esplodono poi dirompenti, in tutta la loro forza. Ligabue traccia schizzi rapidi e precisi sulla vita familiare, riflessioni sui rapporti di coppia. Qua e là compaiono anche note autobiografiche: in Lo vuole vedere? e Pioggia di stelle, l’autore si confronta con due fatti (la morte del padre ed il divorzio dalla prima moglie), costruendoci intorno trame tenui ma allo stesso tempo decise.
Quello de Il rumore dei baci a vuoto è, si diceva prima, uno stile comunicativo certamente meno “duro”, meno “urlato”, rispetto a quanto il Ligabue musicista ci abbia abituato, ma ugualmente affascinante, nel suo delicato e malinconico sussurro.